CRONACA AGGIORNATA OGNI ORA

Condividi:

Pubblicato il 22/02/2016

ACHILLE LAURO: UN COMSUBIM RACCONTA IL MANCATO BLITZ

La Stampa (Ed. Torino)
sezione: Prima Pagina data: 22/02/2016 – pag: 1

Achille Lauro, così saltò il blitz italiano

Quando il cercapersone si metteva a suonare scattava il conto alla rovescia. Gaetano Zirpoli, campano, capo Incursore della Marina, sapeva di aver tre ore per raggiungere la base. Era la regola. «Arrivo al Varignano e mi dicono che devo partire. Non riesco nemmeno a prendere lo spazzolino, solo la borsa con le dotazioni da combattimento. Mi peso sul piazzale, per il calcolo dell’assetto dell’elicottero, salgo sul pulmino e quando arriviamo sulla pista di Luni ci sono già le pale dell’SH-3D che scaldano l’aria».

Anche Danilo Gattoni, piemontese, tenente di vascello Incursore, era nella lista dei partenti. «La sera precedente ero rimasto a casa, con mia moglie. Il televisore spento.

Mi avverte il capoguardia l’indomani alla base: “Guarda che il team è già andato”. L’ordine è di preparare i ferri del mestiere. A mezzogiorno sono su una Campagnola con i colleghi, due specialisti in lanci col paracadute come me e altrettanti esperti in cariche esplosive, diretto a Pisa».
La missione
È l’8 ottobre 1985, l’Operazione Margherita è in corso. Nelle acque egiziane, tra Alessandria e Porto Said, quattro terroristi del Flp di Abu Abbas hanno dirottato l’Achille Lauro: sulla nave da crociera italiana – 196 metri di lunghezza, riarmata Chandris – ci sono 344 membri d’equipaggio e 101 passeggeri (664 erano scesi a terra, convinti dal commissario di bordo Max Fico a visitare per 93 dollari il Cairo e le Piramidi). Prima dell’alba erano già stati aperti dal governo i fronti diplomatici e c’era stato il via libera per un piano d’intervento militare: la scelta era ricaduta sugli Arditi Incursori della Marina, sui parà del 9° Reggimento d’assalto Col Moschin e su un reparto della brigata San Marco.

Non c’era stato bisogno di cercapersone per il capo Incursore Antonio Brustenga: umbro, basco verde col 15° corso (Gattoni è del 24°, Zirpoli del 28°: i corsi sono cominciati nel 1952, ad oggi sono stati superati da poco più di 900 uomini; quest’anno in sei), era già al Varignano, la base dei Navy Seal italiani che domina il Golfo della Spezia. In servizio nell’ufficio d’intelligence, era stato tra i primi a sapere. «Organizziamo gli invii del personale e gestiamo le informazioni. In principio non conosciamo il numero dei dirottatori né, finché non si alzano gli aerei ricognitori Breguet-Atlantic, la posizione della nave. Mancano anche i piani tecnici della Lauro, indispensabili per individuare aree idonee per il rilascio degli operatori e i locali ostaggi: non spunteranno mai fuori. Quando poi entra in azione il Vittorio Veneto le informazioni giungono direttamente a bordo dell’unità e noi restiamo di supporto».

L’incrociatore della Marina era in navigazione verso l’Egitto. Gli incursori lo raggiungono con tre SH-3D. «Sull’elicottero siamo una decina, più l’equipaggio – racconta Zirpoli -. Stipatissimi, tra le borse dei materiali. Un volo diretto, per risparmiare carburante, credo duri almeno sei ore. Mi metto le cuffie da tiro e riesco anche a dormire un po’». Gattoni, invece, da Pisa raggiunge la base della Raf di Akrotiri, a Cipro. «Con l’aereo presidenziale. Io mi siedo proprio dove Pertini ha giocato a scopone con Bearzot, Zoff e Causio di ritorno dal Mundial. Atterriamo a Cipro poco prima dell’alba. Qui ci sono già i Delta Force, le forze speciali americane. Sono agitati, impegnati in un’attività febbrile: muovono materiali, approntano piccoli elicotteri. Capiamo subito che si stanno preparando a intervenire». È il 9 ottobre. Sarà l’ambasciatore Usa a Roma, Maxwell Rabb, a informare il premier Bettino Craxi che l’assalto era stato previsto dal Pentagono per quella notte.

Anche lo spezzino Walter Braccini, allora tenente di vascello, 22° corso Incursori, comandante dei tiratori scelti, era al Varignano. «Tre le soluzioni: arrivare sulla Lauro dall’alto con gli elicotteri, raggiungerla dal mare con i battelli o agire con un’azione combinata. L’ipotesi battelli è però scartata, perché la nave era troppo veloce. Navigava a 20 nodi, le nostre unità non superavano i 10. Si è pensato anche di sabotarla, per fermarla».
L’ostaggio ucciso
Quando la nave da crociera sarà nelle acque siriane di Tartous la situazione precipita. I terroristi uccidono uno degli ostaggi, l’ebreo americano Leon Klinghoffer, classe 1916, emiplegico per una trombosi, in crociera con la moglie. «Ripartiamo da Akrotiri con l’elicottero: dobbiamo unirci ai colleghi sul Veneto e andare all’assalto. Spettava a noi farlo, perché l’Achille Lauro era territorio italiano», ricorda Gattoni. «Andavamo su è giù per i ponti dell’incrociatore, provando fino allo sfinimento le modalità d’assalto – continua Zirpoli -. Avremmo dovuto saturare l’obiettivo in pochi secondi; guadagnare la plancia, la stazione radio. Ma senza piani della nave… I terroristi potevano essere ovunque». Sì, non sarebbe stata una «bonifica» facile. «Se i palestinesi avessero aperto il fuoco – ammette Gattoni – noi avremmo risposto». Con i rischi del caso. Ma non si porranno. «Mentre stiamo atterrando sull’incrociatore il pilota c’informa che la missione è annullata. Cessata crisi, i dirottatori si sono arresi». Era prevalsa la soluzione diplomatica.

Poi il caso Sigonella, mentre gli incursori rientrano al Varignano, nei ranghi del Team Torre, il primo nucleo anti-terrorismo italiano, nato dal Piano Trevi, l’accordo tra governi promosso da Londra nel 1977 per contrastare le sigle terroristiche. «Trenta, trentacinque uomini. Ci davamo il cambio ogni sei mesi», racconta ancora Braccini. Lo incontriamo alla Spezia, insieme agli altri reduci di quell’assalto mancato, nella sede dell’Associazione nazionale Arditi Incursori Marina, accolti dal vicepresidente Giuseppe Frijia, (19° corso). Tre stanze al Comando in Capo della Marina, il labaro con le medaglie d’oro, le foto di un passato eroico che richiama la Decima Flottiglia Mas e Mariassalto. «Ci hanno addestrati i Sas britannici. Armi, tecniche, persino la terminologia, lupi i terroristi e pecore gli ostaggi – continua Braccini -. Ci hanno allertato per il rapimento Moro, per un Dc9 dirottato su Fiumicino: eravamo in un hangar, pronti all’azione» . E l’Achille Lauro. «Chi si aspettava che il terrore potesse arrivare dal mare? Dopo abbiamo cominciato ad addestrarci sulle navi Costa con nuove tecniche di abbordaggio e con i primi elicotteri corazzati».

Leggi anche