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Pubblicato il 01/05/2017

CASE GRIZZANO: IL PRESIDENTE NAZIONALE ANPDI ALLE CELEBRAZIONI DELLA BATTAGLIA DEL 19 APRILE 1945

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BOLOGNA- Il Presidente nazionale  dell’ANPDI, generale Marco Bertolini, ha partecipato  il 30 Aprile alle celebrazioni del 72mo della battaglia di Case Grizzano, nel comune di Castel San Pietro, alle porte di Bologna. L’evento è stato organizzato dalla sezione bolognese dell’ANPDI in collaborazione con il Comune di Castel San Pietro.

Alla rotonda dove è stata posta la stele del ricordo dei caduti e a Case Grizzano , erano presenti tutti i labari  dell’Emilia Romagna.
La sezione ANPDI di Parma ha accompagnato il reduce  Mario Guerra, che , dopo  una ferita a El Alamein, rimpatriato, fu nuovamente inviato al sud per  essere incorporato nel Gruppo di Combattimento Folgore, formato su base dei paracadutisti  del NEMBO. Nella foto sopra: il Generale Bertolini saluta Mario Guerra ela delegazione di Parma .

Guerra faceva parte di uno dei plotoni che  combatterono casa per casa sulle colline prima di Bologna, e nel 2015 gli è stata cconcessa la cittadinanza onoraria del Comune

Nel combattimento i paracadutisti italiani al comando del tenente colonnello Giuseppe Izzo espugnarono il caposaldo di Case Grizzano e lo tennero per l’intera giornata nonostante cinque violenti contrattacchi dei soldati tedeschi.

Per il valore dimostrato dai soldati italiani la bandiera del reggimento Nembo fu insignita della medaglia d’argento al valor militare ed al tenente colonnello Izzo, rientrato dal El Alamein per gravi ferite mentre comandava il quinto battaglione, fu conferita la medaglia d’oro al valor militare e, unico militare italiano, anche la Distinguished Service Cross.

Così scriveva Carlo Zuccalli, uno dei Reduci del Nembo, poi diventato onorevole:

19 APRILE 1945. Si è combattuto tra reparti del Gruppo di Combattimento Folgore e paracadutisti tedeschi per il possesso di due case (Case Grizzano) su una delle ultime alture a monte Castel San Pietro sulla Via Emilia ad una decina di chilometri da Bologna. Sulla Via Emilia si andava svolgendo l’avanzata della VIII° Armata ed i tedeschi si ritiravano alla ricerca di superare il Po e raggiungere i confini del loro Paese.

Ormai la guerra appariva decisa, eppure a Case Grizzano si combatté con tenace valore da una parte e dall’altra. Ci furono per gli uni e per gli altri perdite altissime in rapporto al numero degli uomini impegnati nel combattimento.

Quale significato per gli italiani e per i tedeschi rappresentava l’esito di questo scontro? Sul piano militare poco o niente. Infatti, la notte successiva, i tedeschi abbandonarono la posizione per raggiungere i loro reparti in ritirata e i comandi della VIII° Armata non ritennero, “cadute Case Grizzano”, di dare l’ordine al Folgore di avanzare per contrastare la ritirata tedesca ormai in pieno svolgimento al di là di Castel San Pietro.

Eppure una ventina di giovani italiani che morirono a Case Grizzano e probabilmente altrettanti giovani tra i paracadutisti tedeschi, non morirono invano.

Per i tedeschi (e questa è stata l’esplicita dichiarazione di uno dei pochi prigionieri che in quell’occasione caddero in mani italiane) valeva la volontà di essere fedeli al giuramento fatto d’essere essi, i paracadutisti della lA Divisione Grùnenteufel (Diavoli Verdi) che avevano combattuto a Narwik, a Creta, in Russia, in Africa, a Montecassino, l’ultimo reparto del Reich a deporre le armi.

E che questo fosse lo spirito che li animava è confermato dalla fuga di un loro medico che, fatto prigioniero, era rimasto con noi alcune ore, trattato come un amico con il quale si era scherzato e con il quale avevamo diviso i pochi viveri di conforto che avevamo con noi, e che pure, mentre veniva accompagnato al Comando di Battaglione, ritenne di approfittare di un bombardamento di fumogeni per salutare il nostro militare di scorta con un amichevole Auf wiedersen e andare a raggiungere i suoi compagni per affrontare con loro una rischiosa ritirata.

Per noi rischiare e per molti perdere la vita, credo, fosse una questione d’orgoglio. Eravamo i fratelli dei paracadutisti di El Alamein. Eravamo uno dei pochi e ci ritenevamo “il migliore” dei reparti dell’esercito italiano che ancora era schierato in combattimento. Avevamo, sia pure confusamente, la coscienza che il nostro Paese, la nostra gente sarebbe stata giudicata anche da come sapeva combattere e morire.
Solo così si può spiegare il fatto che uno dei miei paracadutisti (il Cap.le Magg. Zaccagna) mandato a proteggere con altri il fianco del plotone all’attacco, sentendo il rumore del combattimento intorno alle case, mi raggiunse e, scusandosi, mi chiese di poter restare là dove si combatteva e moriva (dopo alcune ore la morte lo ghermiva, infatti, durante il contrattacco tedesco). Solo così si capisce perché alcuni dei nostri”si sono buttati avanti, senza neppure attendere l’ordine di entrare nelle case e sono stati falciati dai mitra tedeschi. Solo queste motivazioni possono spiegare perché si combatté di stanza in stanza, per ogni metro dei corridoi ed alcuni (il S.Ten. Benelli e il Serg. Redi) sono caduti avvinghiati al corpo di un nemico reciprocamente uccisi a colpi di pugnale e raffiche di mitra. Ed era un nemico che non consideravamo tale. Si è combattuto a Case Grizzano senza odio, anzi animati da reciproca stima e rispetto.

Paracadutisti noi, paracadutisti loro. In Africa si era combattuto fianco a fianco. Il 19 Aprile gli uni contro gli altri,facendo quello che si riteneva fosse il proprio dovere.”

 

 

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