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Pubblicato il 03/10/2017

CASO SCIERI: PER IL GIUDICE CHE FECE LE INDAGINI NON EMERSE NE’ RETICENZA NE’ OMERTA’

Il Tirreno – Pisa
02 ottobre 2017

PISA. “Magari ci fossero elementi nuovi. Noi non li abbiamo trovati. Può essere che Viberti dopo tanto tempo abbia una rimozione di coscienza e finalmente decide di parlare”. Enzo Iannelli, 73 anni, era procuratore capo all’epoca del ritrovamento del corpo di Emanuele Scieri nell’agosto 1999 all’interno della caserma Gamerra. È in pensione da tempo dopo aver concluso la carriera in magistratura da Consigliere in Cassazione. Per quell’inchiesta non ha niente di cui rimproverarsi e sostiene di aver cercato la verità con ogni mezzo possibile. Poi, «in assenza di prove e riscontri oggettivi» ha dovuto arrendersi firmando la richiesta di archiviazione. Lo abbiamo sentito all’indomani della riapertura dell’inchiesta per omicidio volontario da parte della Procura su richiesta della commissione parlamentare presieduta dall’onorevole Sofia Amoddio (Pd). Omertà e nonnismo fanno da quinta al giallo della Gamerra.


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È ancora convinto che Stefano Viberti, l’ultimo commilitone ad aver visto vivo Scieri, a distanza di 18 anni tenga per sé particolari mai rivelati? In un’intervista del 2014 al Tirreno lei disse a proposito di questo teste: «Ha visto qualcosa prima dell’irreparabile, ma se l’è tenuto per sé».
«C’è un fondato sospetto che lui sappia qualcosa che non ha detto. Che Viberti quando lo interrogammo fosse in imbarazzo era palese. Ma l’imbarazzo non significa nulla se poi la persona che riteniamo in difficoltà non dice niente di concreto».

È esagerato parlare di reticenza?

«L’ufficio del pm ha avuto dimostrazione concreta dell’imbarazzo del testimone che non si è tradotto in reticenza. Non ha negato cose palesi. Non ha negato di essere stato con Scieri all’esterno della caserma, non ha negato che a un certo punto si è allontanato perché Emanuele voleva telefonare. E non ha negato di essersi affacciato più volte alle finestre della camerata per vedere se Scieri fosse rientrato. Mi auguro che a distanza di tempo dica quello che sa. All’epoca mi ricordo che era l’anello debole di tutta la ricostruzione. Ci puntavamo molto».

Dagli atti della commissione resi pubblici emerge un clima di omertà, anche da parte dei vertici della Folgore. È una sensazione che ebbe anche lei?

«Assolutamente no. Le dichiarazioni e le giustificazioni furono ritenute accettabili. Nei procedimenti penali si deve accertare la verità. Se non è possibile si passa ad altro. Guai a tormentarsi su una verità che riteniamo non essere stata disvelata».

La riapertura dell’inchiesta sul caso Scieri può portare alla verità?

«Quando una commissione parlamentare ti dice di riaprire un’inchiesta, tu Procura, per rispetto istituzionale, lo devi fare. Il punto è un altro e riguarda gli elementi nuovi che la commissione ha ritenuto di riscontrare che non fossero stati riscontrati dalla Procura dell’epoca. Quando ci sarà la relazione finale della commissione sarebbe opportuno che venissero pubblicati».

Quella parte è stata secretata e trasmessa alla magistratura.

«Mi auguro che a questa serietà nell’indicazione di riaprire le indagini corrisponda la fondatezza degli elementi nuovi da approfondire».

Lei è stato sentito come capo degli inquirenti?

«No, non sono stato convocato. Credo sia una défaillance della commissione. Se si riapre un procedimento del genere si chiama il pm dell’epoca e gli si chiede “Ma lei cosa aveva accertato o non accertato?”. Avrei voluto avere il piacere di essere sentito per esporre anche quello che abbiamo sofferto dal punto di vista emotivo come magistrati per non essere riusciti ad arrivare alla verità».

Potrebbe chiedere di essere sentito?

«Ora non penso. È tutto in mano alla Procura».

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