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Pubblicato il 23/04/2017

I 96 ANNI DELL’ARTIGLIERE PARACADUTISTA LEONE DI EL ALAMEIN GIUSEPPE DE GRADA

PAVIA- Giuseppe De Grada è un Leone della Folgore di quelli cui noi tutti vorremmo assomigliare: lucido, forte, schiena dritta, selettivo. Un esempio da seguire. Oggi, domenica 23 Aprile, in un agriturismo nelle colline pavesi, di proprietà di familiari, oltre quaranta amici si sono riuniti per festeggiarlo. Presenti i congiunti del paracadutista Rossano Visioli e tanti parenti.
Si sono messi in viaggio paracadutisti da Grosseto, Viareggio, Lucca, Imola,Monza, Cinisiello , Monza e Cremona per incontrare un vero Leone della Folgore, artigliere paracadutista , della cui amicizia andare fieri.

Due allievi che si lanceranno Lunedì hanno avuto il raro privilegio di ricevere il suo in bocca al lupo.

Non sono mamcati gli auguri del generale Fioravanti e di altri amici che lo hanno raggiunto telefonicamente.
Come fa ogni volta, Giuseppe ha voluto iniziare con un minuto di silenzio in ricordo dei suoi camerati caduti a El Alamein.

IL SUO RACCONTO
“A 18 anni, per l’epoca, ero minorenne . Facevo il militare sul fronte francese e a Cuneo vidi dei libretti che pubblicizzavano l’attività di paracadutista: i miei genitori mi fecero scrivere dal parroco che non avrebbero firmato alcun permesso. Un anno e mezzo dopo ero a Tarquinia. Gianni Brera, all’ufficio propaganda, scopre che sono pavese come lui e mi fa: “Rinuncia ai lanci e stai qui con me, ho bisogno di un bravo attendente”. Senza dirci nulla che non ci saremmo mai lanciai su Malta, ci portarono a Tobruc trasformandoci in fanti senza mezzi motorizzati. “Ad El Alamein costruivamo trincee e ci preparavamo a combattere. Il 23 ottobre, alle 20 e 30 circa , i 70 chilometri di fronte si incendiano: vedo un orizzonte di fuoco”.

“Ero capo pezzo del 47/32 il cannone che avevamo in dotazione allora, il mio compito era sparare ai cingoli dei carri armati, per fermarne l’avanzata. Il 4 novembre, dopo che eravamo riusciti a fermare trecento blindati, ci diedero l’ordine di ripiegare. Dovetti seppellire il mio 47/32 , troppo pesante, e ci difendevamo con assalti all’arma bianca e sparando i pochi colpi di fucile rimasti. In uno di questi contrassalti io stavo sparando quando una scheggia di mezzo chilo mi sfiorò, spezzando in due il calcio del mio fucile”.

“Alla cattura ero praticamente in pantaloncini corti : il resto erano brandelli della divisa”.
“Ci ritrovammo da soli in mezzo al deserto un soldato sardo e io: ricordo benissimo che gli ultimi due colpi della mia Beretta li sparai contro due fusti d’acqua abbandonati, per poterli aprire. Poco dopo scorgemmo un autoblindo in arrivo: erano gli inglesi”.

Un australiano, di quelli che ce l’aveva a morte con noi italiani, mi punta la pistola contro. Un tenente inglese fa appena in tempo ad abbassargli la mira: il colpo esplode a terra. E’ stata l’ultima volta che ho rischiato la vita”. Tre anni di prigionia, con due mesi passati a El Alamein a recuperare residuati di guerra.

“Sbarcammo a Bari con la Garibaldi: il 30 luglio 1946 tornavo a casa, a Spessa Po, tra Stradella e Belgioioso.

Martedì 25 Aprile sarà a Cremona per lanciarsi in tandem con il Pilatus della SKY TEAM .

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