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Pubblicato il 16/08/2015

IL CORDOGLIO DELLE FORZE ARMATE PER LA MORTE DELLA MEDAGLIA D’ORO EMILIO BIANCHI

Roma, 16 agosto 2015

Cordoglio del Capo di Stato Maggiore della Difesa per la scomparsa del Comandante Emilio Bianchi, medaglia d’oro al valor militare

È deceduto ieri a Torre del Lago (Lu), il Comandante Palombaro Emilio Bianchi, ultima Medaglia D’oro al Valor Militare della seconda guerra mondiale.
Il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Generale Claudio Graziano, esprime, a nome di tutte le Forze Armate e suo personale, profondo cordoglio alla Famiglia di “un eroico combattente, animato da ardente volontà di successo ed esempio per tutti gli uomini e donne con le stellette di ieri, oggi e domani.”
Il Comandante Bianchi, Palombaro della Regia Marina, fu protagonista dell’impresa di Alessandria durante la quale, il 19 dicembre 1941, forzò una delle più potenti e difese basi navali e affondò, in un’azione di commando con il Siluro a Lunga Corsa numero 221 (c.d. “maiale”), la nave da Battaglia inglese Valiant.
Colpito da intossicazione di ossigeno durante le cinque ore di immersione nell’azione, l’allora 2^Capo Palombaro Bianchi fu costretto a risalire a galla. Scoperto e arrestato dalle sentinelle di bordo, insieme al suo Comandante (l’allora Tenente di Vascello Luigi Durand De la Penne) fu rinchiuso in un locale della Nave. In seguito allo scoppio della carica, da lui stesso posizionata, che provocò l’affondamento della nave, riuscì a trarsi in salvo.
Grazie al suo eroico comportamento ha scritto una pagina indelebile della Nostra storia.

LA AVVENTURIOSA STORIA DELLA IMPRESA DEGLI INCURSORI DELLA MARINA AD ALESSANDRIA
L’attacco ad Alessandria era previsto il 17 dicembre, ma il mare mosso fece ritardare l’azione. Fra l’altro, nel suo trasferimento dall’Italia verso la in Grecia, lo Scirè mentre era in emersione fu avvistato da un ricognitore britannico. Gli italiani salutarono allegramente il pilota inglese, e gli lanciarono con il segnalatore ottico i codici luminosi concordati per quel giorno fra aerei e navi della Royal Navy, simulando di essere un battello britannico. Il servizio segreto italiano era riuscito ad intercettare la lista dei segnali convenzionali concordati dall’Ammiragliato di Londra.

La notte del 18 i tre “maiali” si avvicinarono al porto in scia ai tre caccia inglesi. Gli incursori dovevano poi dividersi, navigare in immersione fin sotto la chiglia delle navi, piazzare le cariche ad orologeria, abbandonare il maiale ed emergere lontano dal porto per provare a fuggire.

De la Penne e Bianchi furono protagonisti dell’episodio più movimentato: dopo ore di movimento, il respiratore ad ossigeno del palombaro-capo andò in avaria, il sottufficiale – intossicato – fu costretto ad emergere e arrestato dalle sentinelle. De la Penne dovette continuare il lavoro da solo. Mentre gli inglesi iniziavano a interrogare pesantemente Bianchi per capire quali fossero i piani italiani (quali navi? quante cariche?), de la Penne trascinò il maiale sul fondo del porto, scollegò la testata esplosiva da solo e la piazzò sotto la chiglia della Valiant. Riemergendo stremato, anche lui fu arrestato.
Il comandante della Valiant fece interrogare duramente De La Penne che dichiarò di essere ufficiale italiano ma non rivelò il piano d’azione. Gli inglesi lo misero in una cella della nave sotto la linea di galleggiamento: sarebbe affondato con la nave se ci fosse stata un’esplosione
Alle 5,30, mezz’ora prima del scoppio, de la Penne chiamò gli inglesi e chiese di poter parlare col comandante: “Signore, le suggerisco di far evacuare la nave, fra poco ci sarà un ‘esplosione”. Il comandante lo ringraziò, fece evacuare buona parte dell’equipaggio, ma fece riportare De La Penne e Bianchi nella cella sotto la linea di galleggiamento

Alle 6 l’esplosione sfondò la carena della Valiant e la fece adagiare sul fondo del porto: i due italiani si salvarono, e vennero evacuati dagli inglesi che li tennero prigionieri fino al termine della guerra.
Anche altri due incursori vennero catturati dagli inglesi, anche se riuscirono ad affondare una petroliera e danneggiare un incrociatore. Mentre la terza coppia, quella di Antonio Marceglia e Spartaco Schergat, con il “maiale” era riuscita nella missione perfetta. I due militari affondarono la Queen Elizabeth, si sganciarono per tempo e riuscirono a fuggire dal porto.
Purtroppo vennero catturati il giorno successivo, perché il Servizio informazioni militari li aveva riforniti di lire egiziane non più in corso: loro provarono a spacciarsi per marinai francesi, ma i commercianti egiziani ai quali si erano rivolti li passarono agli inglesi.

Il ministro della Difesa Roberta Pinotti ha ricordato il palombaro capo Bianchi (promosso poi ufficiale dopo la prigionia e la fine della guerra): “Si è spento oggi l’ultimo degli eroi dell’impresa di Alessandria d’Egitto, dove il coraggio e l’ardimento permisero di ottenere altissimi risultati”, dice la Pinotti. Con lei il capo di stato maggiore della Difesa, il generale Claudio Graziano.

La Marina Militare nel dopoguerra ha venerato e rispettato gli uomini di Alessandria d’Egitto e quelli che portarono a segno un attacco simile a Gibilterra. L’ultima unità che è stata dedicata da uno di questi eroi, il caccia “Durand de la Penne”, nell’agosto dell’anno scorso si è fermata nel porto dei docks di Londra per una visita degli allievi dell’Accademia navale. A bordo del “de La Penne”, accanto alla plancia, gli ufficiali inglesi ospiti del comandante italiano hanno tutti guardato e letto con rispetto le fotografie e le lettere che ricordano ai giovani marinai italiani chi fosse de La Penne e cosa avevano fatto quei “magnifici 6” combattendo contro la Royal Navy nel porto di Alessandria.

Ma d’altronde dopo la fine della guerra era stato un ufficiale britannico, proprio il comandante del Valiant sir Charles Morgan, ad appuntare sulla divisa dei 6 uomini la medaglia d’oro che la Marina della Repubblica italiana assegnò a quegli incursori. Ufficiali e gentiluomini di un altro secolo

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