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Pubblicato il 07/03/2022

INTERVISTA DI REPUBBLICA AL CAPO DI SMD AMMIRAGLIO DRAGONE SULLA AVANZATA RUSSA

Repubblica del 7 Marzo 2022


«I russi hanno commesso un doppio errore. Hanno sopravvalutato la loro forza e sottovalutato quelle degli ucraini. Per questo credo e spero che l’offensiva si fermerà presto».

L’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone non è un ufficiale da scrivania. Pilota di caccia Harrier, ha partecipato come responsabile della campagna aerea ai raid contro i talebani nel 2001 ed è stato al vertice delle forze speciali impegnate nella lotta all’Isis. Poi ha comandato la Marina e da novembre è a capo di tutte le forze armate. «Mai mi sarei aspettato un conflitto tra Paesi che sono geograficamente parte dell’Europa. Ci eravamo abituati a vedere i nostri militari partire per missioni in teatri lontani, ora invece si stanno schierando in Polonia e in Romania. Gli echi della guerra si sentono vicini, questo genera apprensione nei cittadini mentre noi abbiamo la necessità di riorientare il dispositivo militare».

Quali lezioni state imparando dalla guerra in Ucraina?

«In questo momento gli sforzi sono diretti al presente: come garantire la sicurezza del Paese e come dare supporto a una nazione che è stata invasa. C’è un grande cambiamento. Negli ultimi venti anni ci siamo misurati con lo scenario della guerra asimmetrica, che non scomparirà perché dovremo continuare a fare i conti con il terrorismo, mentre questa è una guerra di tipo nuovo, in cui le armi convenzionali sono accompagnate da strumenti innovativi come incursioni cyber».
Si parla di conflitto multidominio, perché non riguarda più solo mare, cielo e terra ma anche le reti telematiche e lo spazio…
«Per questo occorre mettere a sistema ancora di più le capacità delle forze armate. Il ministro Lorenzo Guerini ci ha già dato linee guida chiare e valide: vuole uno strumento integrato come passo intermedio per arrivare a operazioni multidominio».

L’impressione è che in passato le gelosie fra singole forze abbiano reso difficile questa integrazione…
«Come ex capo della Marina so che c’è la percezione di una sorta di deperimento della singola forza armata ma le paure di questo tipo si sono già sciolte e la guerra impone cambiamenti rapidi. Li stiamo facendo ad esempio nella gestione degli aerei F35B e della forza da sbarco».
I russi non hanno nulla di simile all’F35. È l’aereo da combattimento più moderno e la versione B può essere schierata ovunque…
«Si tratta di sfruttare in maniera flessibile la potenzialità offerta di questi mezzi che possono decollare su piste cortissime e atterrare verticalmente. Questo significa usarli sulle portaerei ma anche su piccole basi avanzate “austere”. Noi disporremo di un numero limitato di aerei. Gli F35 dovevano essere 131, poi sono stati ridotti a 90. E solo trenta saranno della versione a decollo corto: 15 della Marina e 15 dell’Aeronautica. Bisogna mettere a fattore comune questi trenta aerei, perché insieme possono esprimere una deterrenza significativa. Poi se saranno basati a terra ci sarà un ufficiale dell’Aeronautica a guidare le operazioni, sulla nave uno della Marina; l’importante è che tutti siano pronti per ogni scenario».
E la “forza di proiezione dal mare”: significa che nasceranno i marines italiani?
«Le nostre pedine operative, i lagunari dell’Esercito e la brigata San Marco della Marina, sono al top.
Quello a cui stiamo lavorando è una catena di comando snella ed esercitazioni comuni per farli agire insieme. Così ci saranno 1.500, forse 1.700 militari pronti a intervenire rapidamente dal mare. Inoltre stiamo guardando a come i britannici sperimentano operazioni anfibie di forze speciali».
Le forze speciali sono state l’elemento chiave nella lotta al terrorismo. La guerra in Ucraina ridimensionerà il loro ruolo?
«No. Perché purtroppo il terrorismo farà parte del nostro futuro. E in Ucraina hanno avuto un ruolo importante in entrambi gli schieramenti. Va detto che i nostri incursori non sono inferiori a nessuno, per tradizione e per quello che hanno dimostrato sul campo: lo riconoscono americani, inglesi e israeliani».
Lei ha ipotizzato di armare i nuovi sottomarini con missili cruise, che sono stati protagonisti dell’attacco russo…
«Quello che abbiamo visto in Ucraina mi rende ancora più convinto. Un mezzo subacqueo di cui non si conosce la posizione, ma che può colpire bersagli di alto valore strategico, ha un peso di deterrenza in una crisi, in un confronto o in una negoziazione».
E il Mediterraneo è diventato subito un fronte della crisi ucraina...
«C’è stato un aumento drastico di mezzi militari: pensiamo alle navi da sbarco russe che si sono trasferite dal Baltico al Mar Nero passando dal canale di Sicilia.
Abbiamo dovuto rivolgere un’attenzione preoccupata a questo cambiamento. Ma devo dire che la reazione della Nato è stata immediata: l’esercitazione a cui partecipavamo assieme agli Usa si è trasformata nel riposizionamento della portaerei Truman per dare un segnale alla controparte».
In questa guerra però sono tornati protagonisti i carri armati.
L’Italia oggi ne ha pochissimi: meno di 200 vecchi Ariete. Ci sarà un cambiamento?

«Già prima della guerra ne ho parlato con il capo di Stato maggiore dell’Esercito. Abbiamo deciso di aggiornare un certo numero di Ariete ma individuare un nuovo carro armato è in cima alla lista delle priorità».
Nel 2019 i vertici delle forze armate avevano chiesto un aumento degli organici per affrontare i nuovi scenari di crisi mondiale. Poi la pandemia ha mostrato quanto possano essere utili i militari al Paese. E adesso?
«Ero di questa idea prima, ancora di più adesso. Il ministro Guerini da subito ha recepito questa necessità e c’è stato il coinvolgimento parlamentare: il virus e la guerra indicano il bisogno di avere più militari in servizio. Chiaramente confrontando le nostre esigenze con quelle complessive del Paese».
La guerra ha cancellato gli equilibri della sicurezza in Europa.
Quanto a lungo dovremo fare i conti con questa nuova realtà?

«Spero che il conflitto non duri a lungo. Ma la nuova postura che i Paesi della Nato dovranno assumere sarà duratura nel tempo.
Questo drammatico shock servirà ad accelerare il processo di genesi della Difesa Europea. Che sarà complementare alla Nato ma è diventata indispensabile: è la prima lezione netta della guerra».
È quella più importante?
«Ce n’è un’altra: la rilevantissima importanza che il dominio cyber ha avuto nelle fasi preparatorie e nella condotta delle operazioni militari: in questo settore la Difesa non può che avere un ruolo di centralità assoluta».

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