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Pubblicato il 18/02/2021

KABUL- LA CAPPELLA DELL’AMBASCIATA ASSISTE I (POCHI) CRISTIANI IN CITTA’

FAMIGLIA CRISTIANA DEL 17 FEBBRAIO 2021


Roberto Zichittella
ROBZIK

“Il COVID è stato la mazzata finale sulla comunità cristiana di Kabul”, lamenta padre Giovanni Scalese, barnabita, responsabile della Missio sui iuris in Afghanistan. La pandemia ha reso ancora più rarefatti i contatti e i momenti comunitari nella sparuta comunità cattolica di Kabul. “La comunità”, racconta padre Scalese, “si è ulteriormente ridotta. Lo ‘zoccolo duro’ è costituito dalle suore, per quanto riguarda i laici, ci sono solo pochi funzionari delle sedi diplomatiche o delle organizzazioni internazionali. In genere, però, la loro presenza in Afghanistan è temporanea e condizionata dalla situazione generale e dalle restrizioni loro imposte”.

Rispetto agli anni scorsi la partecipazione si è molto ridotta.La comunità filippina è stata decimata. Non so in che anno, prima che io arrivassi, furonaccusati di rubare il lavoro agli afghani, per cui la maggior parte di loro dovette lasciare il paese. Ora ne sono rimasti pochissimi, che però fino al lockdown frequentavano abbastanza regolarmente la Messa domenicale. Srilankesi, non ce n’è piú. Pochi gli europei, qualcuno in più dalle Americhe (Nord e Sud). Non dimentichiamo che anche qui si fanno sentire gli effetti della secolarizzazione diffusa nei paesi occidentali. C’è stato un periodo, in questi ultimi anni, in cui numerosi erano gli africani, provenienti da diversi paesi, impiegati nei vari organismi internazionali; prima per motivi di sicurezza, poi per la pandemia, anche loro,purtroppo, sono stati costretti a rinunciare”.

Della comunità cattolica non fanno più parte le Piccole Sorelle di Gesù, partite nel 2017 dopo oltre sessant’anni di servizio. “Ora stanno tornando i gesuiti indiani, rimangono le Missionarie della Carità, che hanno un orfanotrofio per bambini disabili e la Comunità intercongregazionale ‘Pro Bambini di Kabul’ che gestisce una piccola scuola per bambini disabili mentali non gravi”. Nonostante questo contesto, padre Scalese conclude: In ogni modo, anche in questa situazione, la presenza di un sacerdote cattolico in Afghanistan continua ad avere un suo senso: non solo per l’assistenza spirituale alle Suore, ma anche e soprattutto per la celebrazione quotidiana della Messa, unica — e quindi ancora più preziosa —in un paese tutto musulmano. Cristo continua a essere presente anche in Afghanistan

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