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Pubblicato il 28/03/2019

LA STAMPA ED IL SECOLO XIX : 2019 El Alamein, nel deserto degli eserciti perduti

El Alamein, nel deserto degli eserciti perduti

LUIGI GRASSIA

Questo in Egitto è il deserto degli eserciti perduti. Nel 525 avanti Cristo il re persiano Cambise. conquistata la valle del Nilo, inviò un’armata verso Ovest, in direzione della remota oasi di Siwa, che ospitava il famoso tempio di Amon. Ma il suo esercito fu inghiottito da una tempesta di sabbia, e non se ne seppe più nulla per 2500 anni, quando alcuni studiosi italiani rinvennero i poveri resti delle vittime. Siwa si trova a poca distanza da Giarabub, dove nel 1940 gli italiani subirono una grave sconfitta, preludio di quella ancora più disastrosa di El Alamein nel 1942. Adesso tutto è pace a El Alamein, nel sacrario dei nostri 5.200 soldati uccisi, e tutto è pace negli altri memoriali che fanno da tomba ai caduti delle altre nazionalità.

Alberghi e villaggi turistici sembrano voler assediare il sito di El Alamein, ma per fortuna nel deserto c’è ancora spazio sufficiente a preservare l’atmosfera di quella battaglia, così anacronistica, in cui eserciti europei si disputarono nel ’42 il possesso dell’Egitto e del Canale di Suez, appena una manciata di anni prima che il sistema coloniale in Africa cominciasse a crollare, travolto da altre forze

È possibile abbinare storia e soggiorno mare in una vacanza qui sul Mediterraneo egiziano, dove tutto è a portata di mano: le spiagge, la città di Alessandria, il Cairo, la Valle del Nilo, le piramidi e anche il memoriale di El Alamein. Per visitare il campo di battaglia si fanno tour a pacchetto di tre o quattro appositamente organizzati dall’Italia, oppure si può stare in albergo o in un villaggio per una normale vacanza sotto l’ombrellone e dedicare un giorno alla visita in autobus al sacrario della seconda guerra mondiale. Chi ama la storia non resterà deluso.

Il sacrario militare italiano porta una firma illustre: il progetto e la realizzazione furono curati negli Anni Cinquanta dallo scrittore Paolo Caccia Dominioni, autore (fra le altre opere) del libro «El Alamein», la battaglia da lui vissuta. Terra e costruzioni color ocra contro il cielo sempre terso e azzurro, ma c’è anche un po’ di verde, come non ti aspetti nel deserto. Il sacrario propriamente detto è costituito da un edificio ottagonale, alto trenta metri e che ricorda (alla lontana) le torri del Castel del Monte di Federico II in Puglia.

Dentro ci sono le spoglie dei nostri 5.200 soldati caduti, ma solo metà delle nicchie portano nome grado, mentre sulle altre c’è scritto «Ignoto». C’è anche un busto dello stesso Dominioni, morto nel frattempo. A parte sono sepolti 232 ascari che hanno combattuto e sono morti per il Tricolore; il fatto che se ne stiano per conto oro non si deve a discriminazione, è che il loro cimitero rispetta i dettami islamici.

Poi ci sono due siti che ricordano in modo più plastico la battaglia: la collinetta “Quota 300” dove infuriarono i combattimenti, e un piccolo museo con armi, divise e cimeli, oltre a una sala di proiezione.

Volendo si possono visitare anche i sacrari degli ex alleati tedeschi e delle varie nazionalità ex nemiche, ora accomunate nella pace del deserto. L’atmosfera raccolta ancora si sente; ma con il passare di altri decenni (magari) la seconda guerra mondiale alle nuove generazioni sembrerà remota come le guerre di Cambise.

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