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Pubblicato il 06/03/2022

LIBRI: FRANCESCO PAOLO FIGLIUOLO – UN ITALIANO

FRANCESCO PAOLO FIGLIUOLO – UN ITALIANO

Dal “Corriere della Sera”

Il liceo classico a Potenza, l’Accademia militare a Modena, le missioni in Kosovo e in Afghanistan, fino alla nomina a Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 con l’incarico di coordinare la campagna vaccinale per far uscire l’Italia dalla pandemia. Il generale Francesco Paolo Figliuolo si racconta in «Un italiano. Quello che la vita mi ha insegnato per affrontare la sfida più grande», una conversazione di 304 pagine con Beppe Severgnini, editorialista del Corriere della Sera . Il libro, edito da Rizzoli, è in uscita nelle librerie da martedì 8 marzo. Qui ne pubblichiamo un estratto, il dialogo introduttivo.

Un marziano scende a Roma e le chiede: «Scusi, lei chi è?». Cosa risponde?

«Sono un ragazzo meridionale di periferia che sognava di diventare un alpino. E ce l’ha fatta».


Il marziano si accontenterebbe della risposta?

«Forse no. Ma sarebbe troppo occupato a capire perché porto quattro stelle sulla spalla e una penna sul cappello. Eviterebbe di farmi altre domande».


Il suo incarico – Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid-19 – è iniziato il 1° marzo 2021 e termina il 31 marzo 2022. I periodi più duri?

«Il primo e quest’ ultimo. Perché all’inizio non sapevamo cosa fare, alla fine perché pensavamo di averlo fatto».



Provi a riassumere il suo compito.

«Ho cercato di mettere insieme molte brave persone e tante cose buone durante un’emergenza, e ho contribuito a vaccinare una grande democrazia. Non è stato facile. Nel 2021 il virus era aggressivo, mi sembrava che un treno mi corresse incontro. Nel 2022 sento in me e intorno a me la frustrazione: ma come, con tutti gli sforzi che abbiamo fatto, ancora non ne siamo fuori?».




Lei è un alpino, porta in giro la sua penna come una bandiera. La rassicura?

«Molto. Essere alpino è una scelta identitaria, non una professione. Gli alpini amano appassionatamente la propria terra e la propria gente, sono seri ma non seriosi, si aiutano a vicenda, sanno che la fatica fa parte del mestiere. E quella contro il Covid è stata una lunga marcia in salita».

Sono un allievo di Indro Montanelli, che adorava scrivere epitaffi per gli amici viventi. Quello di Longanesi: «Qui giace per la pace di tutti Leo Longanesi, uomo imparziale. Odiò il prossimo suo come se stesso». Scriva il suo.

«Non sono capace, mi aiuta?»

«Qui non riposa Francesco Paolo Figliuolo. Neanche adesso riesce a stare fermo». «Fantastico, lo prenoto. Non subito, però».




Le persone che l’hanno sostenuta di più?

«La mia famiglia: la generalessa Enza, i miei figli Salvatore e Federico. La squadra alla struttura commissariale: sono stati eroici, mi creda. Il presidente del Consiglio, Mario Draghi: è un uomo prudente, ma ho avuto l’impressione che si sia sempre fidato di me. I ministri Lorenzo Guerini e Roberto Speranza. Il capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio. Alcuni presidenti di Regione».


Non Vincenzo De Luca.

«Direi di no. Ha sempre parlato di me come di un avversario, o addirittura come di una persona inutile. Questo è inaccettabile. Anzi, peggio: deludente. Nessuno dei suoi colleghi, di ogni colore politico, si è comportato così».




Lei si arrabbia facilmente?

«Purtroppo sì. Ma mi passa. A meno che qualcuno si sia dimostrato sleale: allora non dimentico». (…)



La sua miglior virtù e il suo peggior difetto?

«La miglior virtù è saper fare gruppo e non lasciare indietro nessuno. Il peggior difetto? Sono un po’ iracondo, lo ammetto. Ma mi passa in fretta, come dicevo».


Iracondo o impulsivo?

il generale Francesco Figliuolo e roberto speranza il generale Francesco Figliuolo e roberto speranza

«Tendo a reagire d’impulso, magari mi arrabbio, tiro un urlo. Poi rifletto. E – cosa importante – non prendo mai decisioni quando sono arrabbiato».


È ambizioso?

«Diciamo che ho una certa considerazione di me stesso. Ma non sono uno che antepone l’ambizione a ogni altro valore. Un militare può essere un ottimo professionista anche senza diventare generale. Chi antepone la carriera a ogni cosa sbaglia, e di solito non fa molta strada. In ogni campo, credo».


Permaloso?

«Mediamente. Sono permaloso per geni atavici meridionali. Però lo nascondo bene».


Invidioso?

«Poco, davvero poco».


Tratto caratteriale o educazione?

«L’uno e l’altra».

Geloso? Dei suoi allievi, dei suoi collaboratori?

«Francamente mi fa piacere vedere i miei allievi crescere e, magari, superare il maestro. Se uno non ha questa maturità, non è un maestro. È solo un istruttore».


Egocentrico?

«Secondo lei?».


O.

Sì, abbastanza. Vanitoso?

«Un po’ sì».


Un po’…?

«Ok, sono vanitoso. La stima e l’ammirazione per il lavoro ben fatto mi gratificano. È sbagliato?».


No, per niente. È generoso?

«Credo di sì, ma deve chiederlo a chi lavora con me».


È severo?

«Abbastanza. Crudele, mai. Il militare sadico è una roba da barzellette. Ne conosco pochissimi, e nessuno ha combinato granché». (…)

Mi dicono che lei, ogni tanto, chiude le discussioni dicendo: «Sono un alpino. Ma non sono stupido».

«Vero».


È quel «ma» che sorprende. Unica lettura possibile: «Voi, là fuori, pensate che gli alpini siano ingenui, magari un po’ stupidi. Ma vi sbagliate di grosso».

«Lettura corretta. L’alpino, quello vero, è tutto di un pezzo, segue le regole, porta lo zaino, porta anche due zaini se qualcuno non ce la fa. Però è anche portato a riflettere, a pensare e solo dopo a esprimere giudizi. Ecco, questo non tutti lo capiscono».


Perché vuole scrivere questo libro? Risposta sintetica, dobbiamo iniziare.

«Perché qualcuno capisca cos’ è successo e cosa abbiamo rischiato. E sappia che questo alpino ce l’ha messa tutta. Con i suoi difetti, con i suoi limiti, con la sua impazienza, con molte arrabbiature. Ma ce l’ha messa tutta».


Durante il periodo del suo incarico ha sentito un po’ di sufficienza verso i militari in genere, e gli alpini in particolare?

«Sì, devo dire. Qualche volta intuisco che l’interlocutore pensa: “Vabbe’, questo è venuto dalle montagne, o comunque è un militare squadrato…”. Ma non me ne preoccupo, sono stereotipi. Una volta un noto conduttore televisivo, durante una intervista, mi disse: “Tutti si aspettavano un manager e poi è stato nominato un generale”. Mah! È come se un bravo generale non potesse essere anche un bravo manager».

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