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Pubblicato il 18/04/2017

MACCHINE BLINDATE A KABUL: DUE SUICIDI TRA I MILITARI PER L’INCHIESTA SUL TIPO DI PROTEZIONI

PARMA- Truffa militare pluriaggravata è una delle ipotesi di reato su cui indagano i giudici che hanno in carico l’indagine sulle blindature “leggere” di auto prese a noleggio da un afgano per la missione italiana a Kabul.
Per fare luce sul suicidio del capitano Marco Callegaro i giudici hanno una trcia che parla di «reiterati artifici e raggiri» serviti a nascondere l’inganno di tre auto blindate che poi così blindate non erano. Nel mirino degli inquirenti sono finiti sei ufficiali delle nostre forze armate: un generale e due colonnelli dell’Aereonautica; tre dell’Esercito, oltre al tenente colonnello degli alpini Muscogiuri suicida il il 6 aprile – pochi giorni dopo aver ricevuto la notifica del provvedimento. Si è impiccato mentre si trovava nel Comando truppe alpine di Bolzano.

Domani al tribunale militare di Roma si svolgerà l’udienza preliminare nei confronti dei restanti cinque ufficiali, che negli anni passati hanno avuto a che fare con il quartier generale del contingente italiano in Afghanistan. Tutti con incarichi di primo piano: dal comandante Italfor Kabul al Capo sezioni acquisti del Centro amministrativo d’intendenza (Cai), dal direttore del Cai al Capo del servizio amministrativo. Marco Callegaro, il capitano originario di Gavello (Rovigo) ritrovato con un proiettile nella tempia la notte tra il 24 e il 25 luglio del 2010, a Kabul, primo dei due suicidi, aveva 37 anni Secondo documenti di un parlamentare in commissione difesa, esisterebbe un collegamento diretto tra i due, morti a sette anni di distanza: «Dal tenente colonnello Muscogiuri, nel 2010 comandante Italfor, dipendeva Callegaro, che all’epoca era capo cellula amministrativa a Kabul». E sempre dall’interrogazione al ministro della Difesa, si scopre che – poche ore prima di morire – il capitano rodigino inviò agli amici delle e-mail contenenti documenti riservati e nelle quali «parlava di contrasti legati alla contabilità amministrativa generale del comando Italfor Kabul e di dissidi tra Callegaro e altri tre ufficiali». È stata proprio l’inchiesta sul suo suicidio a spingere la procura militare di Roma a ordinare il sequestro in Afghanistan di quattro container di documenti, dai quali sono scomparsi diversi dossier (e su questo è stata aperta un’altra indagine). Esaminando il materiale rimasto, è saltata fuori la presunta truffa delle auto noleggiate al nostro esercito con un livello di blindatura inferiore a quanto dichiarato: dovevano resistere anche a colpi di grosso calibro (livello «B7») ma in realtà erano «soltanto» a prova di kalashnikov (protezione «B6»).

Gli indagati lo sapevano – è la tesi dei pm – ma presero ugualmente per buono un certificato di blindatura contraffatto avvallando così il pagamento superiore al dovuto, con un danno di 36mila euro. A fornire le vetture – che tra il 2009 e il 2014 hanno trasportato ambasciatori e ministri in visita alle nostre truppe – è stata la ditta «Ali Mohammad Bafaiz Trading Co.», attraverso un contratto stipulato il 15 giugno 2009 con il servizio amministrativo Cai. Ali Bafaiz è un afgano di 32 anni. I nostri servizi segreti gli attribuiscono collegamenti con un’organizzazione terroristica talebana e, secondo il deputato Bolognesi, la sua attività «dopo il 2010 risultava iscritta in una black list di società che non garantivano i parametri di affidabilità richiesti dalla Legge». Perché le nostre forze armate facevano affari proprio con un personaggio come Mohammad Bafaiz?

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