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Pubblicato il 27/02/2017

MARINA: A TARANTO IL COMMISSARIO ANTI CORRUZIONE CANTAVA “MACCHECCEFREGA MACHE CE IMPORTA” A SPESE NOSTRE

Il fatto quotidiano DEL 25 Febbraio 2017

Il pizzo imposto da un ufficiale e da sua moglie agli imprenditori poi vincitori delle gare. Trovato dai pm in un telefonino il video della cena con i canti romaneschi

di Francesco Casula | 25 febbraio 2017

“A noi ce piace de magnà bene e nun ce piace lavorà…”. Taranto, gli invitati cantano festosi mentre qualcuno riprende tutto con il suo telefonino. La sua compagna accenna un balletto dietro la torta con le candeline accese anche se non è il suo compleanno: è una sera di maggio e lei è nata a settembre… “Ma che ce frega, ma che ce ’mporta”. Le riprese mostrano volti sorridenti che rispondono con un saluto della mano all’occhio elettronico dello smartphone. Di tanto in tanto fa capolino anche lo chef con tanto di toque blanche e persino un “menestrello neomelodico” pronto ad animare ad animare la festicciola intima, ma esclusiva con un menù degno di Masterchef che costa 1.500 euro.

Lui è Giovanni Di Guardo, all’epoca direttore del commissariato della Marina militare inviato dallo Stato Maggiore per rimettere a posto le cose dopo l’inchiesta giudiziaria che ha svelato il pizzo del 10 percento imposto dagli ufficiali agli imprenditori che si aggiudicavano gli appalti della Marina. Qualcosa, però, dev’essere andata terribilmente storta: Di Guardo viene arrestato a settembre con un bustarella e le indagini dei finanzieri raccontano che non solo non aveva debellato quel sistema di mazzette, ma ne aveva addirittura messo in piedi uno tutto suo. Un giro d’affari che in poco più di un anno gli ha permesso di incassare 546 mila euro di tangenti. Oltre al denaro, però, al comandante Di Guardo e alla sua compagna Elena Corina Boicea gli imprenditori pagavano anche il necessario per un vita da reali: affitto della villetta, bollette, ristoranti, vesti e scarpe di lusso. Anche il vestito indossato quella sera di maggio alla festa per gli inquirenti è stato acquistato nel negozio più costoso di Taranto e pagato dagli imprenditori. E il conto del catering del party? Come dimostreranno successivamente le indagini, è stato gentilmente offerto da uno degli imprenditori finiti in carcere. Nella elegante villetta del comandante, però, quella sera ce un altro imprenditore che sarà successivamente coinvolto nell’inchiesta. Uno di quelli che insomma pagava le tangenti per aggiudicarsi gli appalti: è Giovanni Perrone, titolare di un grande impresa tarantina. Ma tra i volti festosi inquadrati da Di Guardo c’è anche quello del suo faccendiere: è il dipendente civile Marcello Martire, ritenuto dai finanzieri che conducono le indagini l’uomo che ha raccoglieva il denaro per conto del comandante, messo poi da parte perché accusato di aver fatto la “cresta” su alcune tangenti.

Ma quella sera l’idea di un’inchiesta della magistratura è certamente lontana. Nessuno immagina che quattro mesi dopo Di Guardo, Perrone, Martire e persino la festeggiata finiranno in carcere con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Le immagini che captate dallo smartphone e poi recuperate dagli inquirenti mostrano corrotti e corruttori che gioiscono insieme. Per uno strano scherzo del destino il “menestrello” ingaggiato per il party intona la Società dei magnaccioni: all’unisono il coro si unisce al ritornello “ma che ce frega, ma che ce ’mporta…”. Nei giorni scorsi, però, la magistratura ha presentato il conto sequestrando beni per un valore complessivo di 546mila euro, il valore delle tangenti intascate da Di Guardo in soli 12 mesi alla guida del commissariato dalla Marina militare. Sotto chiave sono finite due auto di grossa cilindrata, un appartamento a Pontremoli e la comproprietà di altre due case: una a Taranto e una a Roma. Sui conti correnti, però, non c’è nulla. Il fiume di denaro arrivato sottobanco con la regola del “10 per cento” è scomparso. E la canzone popolare romana che fa da sottofondo al video sembra un tragicomico presagio: “C’hai messo l’acqua e nun te pagamo…”.

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