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Pubblicato il 02/07/2016

PARLA LA MAMMA DELLA MEDAGLIA D’ORO GIANFRANCO PAGLIA


Io, mamma di una Medaglia d’Oro al Valor Militare

di Tiziana Bianchi

A 23 anni dall’agguato a “Check Point Pasta” a Mogadiscio, Mena Paglia, madre della Medaglia d’Oro al Valor Militare Gianfranco Paglia, si racconta per la prima volta.

Quel tragico 2 luglio 1993, in un vile agguato a “Check Point Pasta” a Mogadiscio, trovarono la morte il sottotenente Andrea Millevoi, il Serg. Magg. Stefano Paolicchi ed il soldato di leva paracadutista Pasquale Baccaro, ed altri 32 militari italiani rimasero feriti. Fra essi c’era, l’allora sottotenente Gianfranco Paglia al quale e` stata consegnata la Medaglia d’Oro al Valor Militare per le eroiche gesta di aver prestato soccorso ai feriti prima di tornare a combattere ed essere colpito da tre pallottole di Kalashnikov che, da allora, lo costringono su di una sedia a rotelle. Oggi il Ten. Col. Paglia e` Presidente del Gruppo Sportivo Paralimpico Difesa.

In questo giorno particolare, la madre di Gianfranco, Mena Paglia, una donna semplice e garbata ma certamente determinata e coraggiosa, per la prima volta, dopo 23 anni si apre ai suoi ricordi.

Signora Paglia, quel 2 luglio 1993 come apprese del ferimento di suo figlio?
Ricordo che era un venerdì, all’ora di pranzo quando il telegiornale annuncio` il grave agguato a “Check Point Pasta” che coinvolse il 183° Reggimento Paracadutisti “Nembo” a Mogadiscio, riferendo di morti e feriti tra i militari italiani. Soltanto alle 15:00 ricevemmo la telefonata che ci informava del ferimento di Gianfranco. Il Gen. Bellinzona, allora comandante della Caserma Garibaldi di Caserta, ci manifesto` immediatamente la vicinanza e la solidarietà della Forza Armata. Ma soltanto il giorno dopo, grazie all’intervento di mio cognato, Ciro Paglia (giornalista de Il Mattino defunto da circa tre anni ndr) che, attraverso un contatto telefonico con un suo collega inviato sul posto, ebbi la certezza che mio figlio non fosse morto, come invece anche il Corriere della Sera aveva ipotizzato.

Suo figlio era vivo, come siete riusciti a mettervi in contatto con lui?
Incontrando i nostri desideri la domenica, il Gen. Bellinzona ci disse che sarebbe stato opportuno che uno di noi si fosse recato in Somalia. Io, per ragioni di sicurezza, fui esclusa in quanto donna. Mio marito Antonio non era nelle condizioni di salute per affrontare un simile viaggio. Quindi, mio cognato, Salvatore Paglia, senza esitare si offrì di partire e, ancora con le infradito ai piedi, fu trasferito a Roma per il viaggio con un volo militare.

Immagino siano stati momenti molto difficili. Dopo quanto tempo ha avuto la prima telefonata da Salvatore?
Salvatore ci ha chiamato ogni giorno dal suo arrivo, era lunedi. Ci raccontò che incredibilmente, entrando nell’ospedale da campodove si trovava mio figlio, per la prima volta dopo tre giorni di incoscienza, sentendo la voce dello zio, Gianfranco aprì gli occhi esclamando: “Voi Paglia siete riusciti ad arrivare fino a qui!”.

Come ha appreso la notizia della disabilità permanente di suo figlio e qual’e` stata la sua reazione?
Ne fui informata immediatamente in quei giorni, prima del rientro di Gianfranco in Italia il 13 luglio. Ero atterrita e smarrita, non facevo che piangere. Un giorno un collega del Comune di Caserta mi disse: “Mena non piangere, prega!”. Fu la mia luce, mi ritrovai nella fede e nella preghiera alla Madonna e a Padre Pio.

Cosa ha provato quando ha finalmente visto suo figlio quel 13 luglio a Roma?
E` uscito dall’aereo in barella, era intubato. Gli ho accarezzato le gambe ed i piedi. Erano gelidi! Non ho pianto. In quel momento ho pensato alle mamme di Pasquale, Andrea e Stefano e mi sono sentita fortunata. Dobbiamo ricordare ed onorare la memoria di quei ragazzi e di tutti quelli che, come loro, hanno pagato con la vita la fedeltà alla Patria.

Con quest’ultima affermazione vuole sottolineare le mancate celebrazioni del 1994?
Si, e` proprio così. Mi sono indignata e ne soffro ancora oggi, nessuno aveva ricordato quei tre ragazzi. Al riguardo scrissi una lettera al Presidente della Repubblica (Oscar Luigi Scalfaro ndr)ed un’altra al Papa, esprimendo il mio disappunto.

Qualcuno le ha risposto?
Ricordo solo una formale risposta dal Quirinale che espressesolidarietà.

Con il supporto delle istituzioni a fine luglio del ’93 vi trasferite in Svizzera, presso il centro paraplegici di Nottwill, come sono andate le cose?
Stranamente, di questo trasferimento, per quanto in questi anni mi sia sforzata, ricordo soltanto di essere salita a bordo del Falcon,prima del decollo; le fasi successive del viaggio rimangono un mistero, credo di averle rimosse totalmente. Nel centro di Nottwillci confermarono che Gianfranco non avrebbe più camminato ma, al contrario di quanto precedentemente diagnosticato, cioè che sarebbe stato costretto al letto, contro ogni previsione, riprese l’utilizzo delle mani e, anziché in sette mesi, fu dimesso in cinque mesi, avendo raggiunto il risultato massimo ottenibile. Ha dimostrato una forza interiore che va, sicuramente, oltre quella fisica.

Cosa e` accaduto nei mesi successivi al rientro in Italia quando si è trovata a ricercare un nuovo equilibro di vita?
Avevo chiaro che nulla da quel momento sarebbe stato piu`“normale” ma ancora non immaginavo quanto…a Gennaio del ’94, scopro di essere in dolce attesa! Sono andata in crisi perché temevo di non potermi dedicare totalmente a Gianfranco con l’arrivo di un bambino e con una gravidanza anche un po’ avanti negli anni. Ma con il sostegno spirituale del mio parroco da una parte e, della famiglia tutta dall’altra, in particolare di mio marito e Manuela (sorella minore di Gianfranco ndr) che sono stati preziosi, ho superato le mie paure. Alla fine non ho scelto nulla, qualcuno lassù mi ha semplicemente indicato la via. E così è nata Daniela, nome che ho deciso per il profondo significato, “scelta da Dio”. Dover crescere lei è stata una benedizione, mi ha dato modo di vedere Gianfranco acquisire la propria autonomia in carrozzinache, successivamente si e` sposato, rendendomi anche nonna di due bellissimi nipoti, Vittoria Pia ed Antonio.

Nel corso di tutti questi anni, lei e suo figlio, nell’intimità` del rapporto madre-figlio, siete mai riusciti a parlare di quanto accaduto in Somalia?
In verità lui non mi ha mai raccontato nel dettaglio quel giorno. Mi ha soltanto confidato che nel corso del combattimento era consapevole che sarebbe potuto morire. Ma mi ha ribadito che non avrebbe potuto far altro che quello che ha fatto. Sono orgogliosa della coraggiosa scelta di mio figlio che oggi, anche dalla sua carrozzina può rivolgersi al mondo a testa alta.

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