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Pubblicato il 15/08/2023

RASSEGNA STAMPA- IL GENERALE FIORAVANTI A REPUBBLICA: “LA FRANCIA HA FALLITO- L’ITALIA PUO’ DIVENTARE GARANTE !

REPUBBLICA
sezione: MONDO data: 15/8/2023 – pag: 12


Fioravanti “Parigi ha fallito l’Italia può diventare garante dell’Ue nel Sahel”
La Repubblica (ed. Nazionale) 15/08/23



Intervista con l’ex comandante delle Forze Speciali di Gianluca Di Feo «Ho operato con i soldati francesi per la prima volta da tenente a Beirut nel 1982, poi li ho avuti sotto il mio comando a Sarajevo e in Libano. Dopo tanti anni di spedizioni internazionali siamo abituati a lavorare insieme: l’intesa tra i militari occidentali è collaudata, che si tratti di agire sotto bandiera Onu, Nato o Ue. Mi risulta che oggi sia tale anche in Niger. Il problema è il coordinamento tra i governi europei».


Il generale Maurizio Fioravanti ha passato trent’anni in missione: paracadutista, è stato al vertice della brigata Folgore e di tutte le forze speciali italiane. È veramente più facile andare d’accordo con i francesi? «Dal punto di vista umano ci capiamo più facilmente e c’è maggiore sintonia, sicuramente superiore a quella con i britannici, ma anche a quella con i tedeschi e gli americani. La grande differenza è nell’approccio verso la popolazione: i francesi sono marziali e chiusi, non trasmettono l’impressione di aiutare ma di perseguire solo i loro obiettivi. E questo si è visto nel Sahel: quando sono intervenuti nel Mali contro i terroristi jihadisti sono stati accolti come liberatori, poi sono dovuti andare via con la folla che li insultava. Lo stesso sta accadendo in Niger: per loro il Sahel è diventato come l’Afghanistan per gli Usa».


Mentre il dialogo continua a essere l’arma segreta dei nostri soldati?

«A Beirut noi parà eravamo i benvenuti nei campi palestinesi dove gli altri occidentali non entravano: ai posti di blocco scambiavamo battute sul calcio, mentre francesi e americani tenevano le armi spianate. Accoglievamo i malati nell’ospedale da campo, loro avevano basi blindate, che poi sono state devastate da attentati gravissimi. Noi cerchiamo sempre di stare tra la gente: soprattutto nei luoghi che hanno vissuto una guerra, comportarsi troppo da militari è controproducente. Anche se il nostro approccio comporta dei rischi: a Nassiriya siamo stati gli unici a insediarci all’interno della città e siamo stati colpiti duramente». Quella collaborazione affiatata che lei cita tra militari, a livello di governi è stata sempre difficile. A partire dalla Libia.


«I francesi hanno un’idea forte dell’interesse nazionale e la portano avanti con determinazione, soprattutto quando ci sono di mezzo le risorse energetiche. La questione si ripropone in Niger dove ci sono le miniere di uranio che alimentano le loro centrali». I ministri Tajani e Crosetto hanno dichiarato che in Niger non c’è ostilità contro i soldati italiani… «È così. I francesi a Niamey hanno strutture separate. Il nostro contingente invece si è inserito in quelle delle forze di sicurezza nigerine: abbiamo formato più di 10 mila tra soldati e gendarmi locali. Gli uomini della Folgore hanno addestrato il battaglione parà che adesso è si è schierato con i golpisti ed è un attore chiave del nuovo scenario politico: in queste attività fianco a fianco si crea un rapporto di fiducia reciproca. E la nostra presenza è stata accompagnata dal sostegno umanitario, medico, sociale. Per questo oggi la crisi in Niger costituisce un’opportunità per l’Italia: il nostro contingente è in condizione di proseguire la missione nel Paese, ma deve farlo come rappresentante della Ue. Io ragiono da militare: se la Francia sarà costretta a ritirarsi, bisognerà continuare a tutelare il ruolo dell’Europa per tenere lontana l’influenza russa e collaborare con le autorità locali per fermare i jihadisti».


In Mali né i francesi con l’operazione Barkhane, né i mercenari della Wagner sono riusciti a contrastare la crescita dell’Isis. Lei teme che si possa espandere in Niger?

«È una minaccia molto concreta, ma ci vuole grande cautela: un intervento militare straniero in Niger può far degenerare la situazione e provocare disastri irreparabili. Diversi governi africani dell’Ecowas e persino l’Algeria, che dispone di un esercito agguerrito, hanno sottolineato questo rischio. Oltre all’estremismo religioso bisogna tenere conto delle dinamiche tribali, molto complesse in una regione che comprende pure parte della Libia e dell’Algeria: nell’area subsahariana i confini nazionali non esistono e ci sono popoli come i tuareg presenti in più Paesi. Io cito come modello positivo l’accordo di pace che venne siglato a Roma nel 2017 dai gruppi libici del Fezzan: un’iniziativa realizzata dall’allora ministro Marco Minniti in un’area fondamentale per il controllo del traffico di migranti. È stato un beneficio per tutta l’Europa, perché contribuiva a dare stabilità all’intero Sahel». Il dato di fondo è che in Niger le relazioni tra contingenti militari restano buone ma non c’è mai stata una strategia europea condivisa.


«In tutta l’Africa Parigi ha interessi nazionali che l’hanno spinta a lanciare operazioni indipendentemente dagli altri Paesi: il fallimento è sotto gli occhi di tutti. È ora di incominciare ad affrontare i problemi strategici non come italiani o francesi ma come europei, perché le conseguenze delle disfatte poi le paghiamo tutti».

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