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Pubblicato il 29/10/2015

RASSEGNA STAMPA: L’ESPRESSO PARLA DELLA MISSIONE MILITARE IN LIBIA CHE NON SI FARA’

ESPRESSO
del 29 Ottobre 2015

Gianluca Di Feo

almeno per ora i Mille non partiranno. E non si tratta di camicie rosse, ma di mille baschi amaranto della Folgore: la task force di paracadutisti che lo Stato Maggiore ha messo in preallerta nell’eventualità di una spedizione in Libia.
(….)

L’OPERAZIONE TRICOLORE E la Libia? I vertici militari stanno elaborando piani praticamente senza sosta dallo scorso agosto. Il profilo della missione è chiaro. Ci vuole una task force di ingresso, che prenda il controllo di uno scalo portuale e di un aeroporto. Il compito dovrebbe essere affidato a un migliaio di parà della Folgore, accompagnati da blindati ed elicotteri Mangusta, con un battaglione del San Marco di riserva imbarcato sulla flotta. Più consistente la fase due, per la quale si ritiene serva almeno una divisione: oltre 10 mila soldati per costruire una vasta bolla di sicurezza e addestrare il nuovo esercito libico. Il comando resterà italiano, con un contributo nazionale che dipenderà dalle truppe offerte da Londra, Parigi, Madrid e Berlino. Ma non viene esclusa l’ipotesi di mettere in campo cinquemila uomini, numero preventivato dal ministro Roberta Pinotti nella scorsa primavera. Il tutto con mezzi pesanti come i carriarmati Ariete, una copertura aerea di cacciabombardieri e intercettori, mentre al largo incrocerà una flotta guidata da una portaerei. Sulla carta, si tratterebbe della più grande operazione militare realizzata dal dopoguerra. Con un costo annuale che potrebbe superare il miliardo.
MISSIONE AD ALTO RISCHIO I nostri generali però sono stati chiari: i rischi di questa missione sono imprevedibili, perché gli obiettivi sono difficili da raggiungere e dipendono da troppi fattori incerti. Si avanzerebbe nelle sabbie mobili. C’è il pericolo di finire in una situazione simile alla Somalia 1993, quando l’Onu fu costretta a passare da una spedizione di mantenimento della pace a una forza combattente per imporre la pace. L’incubo della “Tripoli bel suol d’amore” del 1911 non è stato dimenticato: allora sbarcare fu facile, prendere il controllo praticamente impossibile. L’arrivo degli italiani coalizzò ufficiali turchi, milizie arabe e cavalieri berberi fino a quel momento divisi su tutto. E lo stesso può accadere oggi, con la prospettiva che l’intervento occidentale unisca le fazioni contro un nemico comune.
Prima di ogni decisione serve un governo libico che chieda il sostegno delle Nazioni Unite o dell’Europa. Il mandato di Leon è scaduto anche se la sostituzione con il tedesco Martin Kobler potrebbe venire congelata, per cercare di dare un’ultima chance alla trattativa. Chiunque sia il plenipotenziario Onu, Roma vorrebbe affiancargli come consigliere militare il generale Paolo Serra, che ha ottenuto risultati brillanti al comando dei caschi blu in Libano. E in fondo quello che Renzi cerca è un successo mondiale come quello che Prodi e D’Alema conquistarono lì nel 2006, garantendo la tregua tra Hezbollah e Israele, fino allo sbarco in diretta tv dei marò. Ma ora la Quarta Sponda sembra allontanarsi ogni giorno di più.

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