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Pubblicato il 11/05/2017

RASSEGNA STAMPA: PADOVA- MUORE UN FANTE DI AL ELAMEIN – A PIEDI FINO ALLA TUNISIA E CATTURATO

GAZZETTINO DI PADOVA
data: 11/5/2017 – pag: 51

Francesco Cassandro

Addio a Ettore, l’eroe del deserto

Sopravvissuto a El Alamein, tornò a casa dopo sei anni di guerra e prigionia e 3500 chilometri percorsi a piedi

La realtà, s’usa dire, a volte supera la fantasia. La vita di Ettore Da Col, spentosi qualche giorno fa all’età di 97 anni nella sua abitazione di Borgoricco, è a prova di romanziere. Nativo di Mel, nel bellunese, meccanico e poi interprete di tedesco nelle questure di Bolzano, San Candido, Bressanone, Ventimiglia e Treviso, era sopravvissuto ad una delle pagine più insanguinate del Novecento: la battaglia di El-Alamein.

All’appuntamento con la storia era arrivato dopo due anni di marcia nel deserto, ingoiando sabbia e dribblando le pallottole degli Alleati, con la gola arsa e già tanti, troppi commilitoni della 32esima brigata corazzata Ariete da piangere. La morte, quel 4 novembre 1942, dodicesimo e ultimo giorno di una battaglia che segnerà le sorti della Seconda Guerra Mondiale, lo sfiorò ripetutamente, mentre, rannicchiato sulla spiaggia, cercava di esorcizzare la paura, il rombo incessante dei cannoni, il lamento dei feriti. Poi, quando il silenzio calò, con i pochi compagni superstiti, fuggì. Nelle stesse ore Erwin Rommel, comandante dell’Africa Korps, certificherà con uno scarno comunicato quanto accaduto: «La divisione italiana Ariete non esiste più. Si è immolata per tenere le posizioni».

Ettore Da Col e i suoi compagni camminarono per mesi sette, per l’esattezza – sbandati e disperati, senza cibo ed acqua, verso il punto più vicino all’Italia: le coste settentrionali della Tunisia. Arrivati ad Hammamet, quando già potevano immaginare le coste italiane, nella notte tra il 10 e l’11 maggio 1943, mentre ancora dormivano rannicchiati tra le dune della spiaggia, furono svegliati da una canna di fucile puntata alla testa.
Così, invece delle acque dell’Adriatico, Ettore Da Col si trovò nuovamente davanti il deserto. «Furono giorni, settimane, mesi di fame, sete e paura ricorderà -. Marciavamo per ore, e chi cadeva era perduto, perché veniva lasciato lì a morire». Così per oltre 1.700 chilometri, fino a Casablanca, in Marocco.
Lì Ettore Da Col ci resterà solo qualche settimana, per ritrovarsi nella grande stiva di una nave, con destinazione prima la base militare di Norfolk, in Virginia, e poi una prigione vicino a San Francisco. «Ci facevano lavorare nelle campagne, a raccogliere il cotone riferirà -. Un giorno tentai anche la fuga, ma venni subito ripreso». Così si rassegnò, e grazie al mestiere di meccanico e allo studio della lingua, riuscì a passare dai campi di cotone alle mansioni di autista e di interprete. Fino al giugno 1946, quando venne liberato e imbarcato per Napoli. Prima di partire si trovò tra le mani il biglietto di una donna. «Tu te ne vai era scritto ma il mio cuore viene con te».
Da Napoli Ettore risalì in treno fino a Bolzano. Vi arrivò di notte, e non c’era mezzo che lo portasse fino a Languedoc, un paesino vicino a Bolzano dove i suoi genitori si erano nel frattempo trasferiti. Stanco e disorientato, incrociò solo l’autista di un’ambulanza. «Ti porto io a casa, a rivedere i tuoi vecchi», gli disse. Alle quattro del mattino, dopo sei anni e mezzo e 3.500 chilometri di deserto sulle gambe, riabbracciò i genitori. «Non avevo nulla, né un vestito né un lavoro. Ma ero vivo».

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