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Pubblicato il 24/10/2021

TOMMASO MANCIN.-ACQUISITORE OBIETTIVI – GENERALE – ATTORE

Il Resto del Carlino
24 Ottobre
Ravenna pag. 11
Mancini, da generale ad attore: «Che vita!»

Anni al servizio dei carabinieri, con missioni in Turchia, Russia e a Berlino: «A tu per tu con l’ex nemico, esperienze incredibili»
Carlo Raggi Più di quarant’anni dedicati all’esercito, poi, una volta in pensione, la scoperta del cinema, i contatti con registi come Olmi, Pupi Avati, Neri Parenti, Leo Gullotta e tanti altri, la partecipazione a una quindicina di film, l’ultimo è ‘Diabolik,’ in uscita a fine anno: una vita vissuta a grandi ritmi e a livelli internazionali, quella del generale Tommaso Mancini (in scena, a sinistra , nella foto, ndr) , per quindici anni al comando di un reparto per ‘Operazioni speciali’ che utilizzava i primissimi droni (erano a elica, siamo nel 1969), poi per tre anni in missione in Turchia per conto della Nato e per altri sei, caduto il muro di Berlino, capo ispettore per la limitazione degli armamenti convenzionali, operativo nei paesi dell’Est, Russia in testa. Conferenziere su temi internazionali, Mancini è stato anche presidente dell’Unuci di Ravenna. Come mai scelse la carriera militare? «Sostanzialmente per sentirmi indipendente e per non pesare sull’unica entrata in famiglia, quella del babbo. Della mia classe, al liceo scientifico, fummo in due ad entrare in Accademia, a Modena: eravamo in 12mila per 250 posti». Che anno era? «Il 1963, appena diplomato. Sa chi era in classe con me allo Scientifico? Gustavo Raffi, l’avvocato, e Pina Mazzavillani, sorella di Cristina. Da allora, con la famiglia Muti ho uno strettissimo rapporto. E ricordo i professori di allora, Scudellari, Pasi, Faccani…». Ma lei non è originario di Ravenna… «Sono nato in provincia di Bari e sono arrivato qui quando avevo due anni, a fine ’46. Mio padre, Gorizio, era sergente maggiore dell’esercito, operativo in Yugoslavia. L’8 settembre era in licenza, si presentò al distretto e fu incorporato nel gruppo Friuli che molto operò nel Brisighellese. Il comando era a Ravenna, in via S. Alberto; finita la guerra il babbo entrò in polizia, da brigadiere, allo schedario della Questura. Gli ultimi sei anni, fino al ’75, li fece da responsabile della Polizia postale, in piazza Garibaldi». Quanti anni è rimasto in Accademia? «Due a Modena, poi a Torino e ne uscii con la laurea in Scienze strategiche e, dopo la Scuola di applicazione, il grado di tenente. Le dirò che mentre ero a Modena fui convocato a Roma per una seconda audizione alla Rcs, la prima l’avevo fatta appena diplomato, a me piaceva cantare e mettevo in musica le parole di un grande amico, Roberto Gordini. Ricordo che fu Franco Gabici, al liceo, a insegnarmi i rudimenti della musica… Per forza di cose non andai all’audizione…forse la mia sarebbe stata un’altra vita» Il suo primo incarico? «Due anni a Bologna alla Brigata Trieste, poi nel ’69 fui trasferito a Verona a comandare i droni». I droni? Nel 1969? «Ma certo, è un’invenzione risalente! Le spiego: erano piccoli aerei a elica, ne avevamo 12, lunghi 4 metri, apertura alare da tre metri e mezzo, quasi 200 chili di peso, velocità 300km orari, autonomia di 40 minuti. Erano teleguidati e servivano per fotografare certi obiettivi. Il gruppo si chiamava infatti ‘Acquisizione obiettivi’ e ne facevano parte anche unità speciali di paracadutisti ed elicotteri da trasporto». I droni tornavano alla base? «Scendevano col paracadute in zone prefissate e venivano recuperati. Nel ’75 ci fu la sostituzione di quegli aerei con veri e propri missili a guida programmata e sempre con la funzione di fotografare gli obiettivi. Avevano una velocità di 740 km orari, 78 chili di peso, 100mila dollari di costo, un’autonomia brevissima, sette minuti. Anche loro scendevano col paracadute». Nel frattempo il suo grado era cresciuto. «Ero diventato capitano, poi nel ’79 andai alla Scuola di Stato Maggiore a Civitavecchia, risultai fra i primi e nel 1981 diventai tenente colonnello, a soli 36 anni e due anni dopo fui promosso vice comandante di tutto il Gruppo Acquisizione Obiettivi, ma ci rimasi per poco…». Nel senso? «Che a settembre fui inviato in Turchia quale responsabile delle ispezioni alle unità militari turche assegnate alla Nato. La base era a Smirne. Pensi che la mia responsabilità andava dai rapporti con i generali turchi al trasporto dei bagagli! Sono rimasto tre anni ed è stato un periodo bellissimo, la Turchia si stava aprendo al mondo, al turismo, quella era la Turchia che avrebbe dovuto entrare nella Ue…ma non è andata così». Era già sposato all’epoca? «Certo. Mi sposai nel 1970, con tanto di assenso del presidente della Repubblica. Lei, Livia, era insegnante di lettere, la conoscevo da quando aveva 15 anni… abbiamo avuto due figli, Luca e Manuela. E ovviamente la famiglia mi seguì in Turchia». A cosa erano finalizzate le ispezioni? «La Turchia aveva quattro armate assegnate alla Nato. Ogni anno c’era un’esercitazione noi dovevamo verificare la loro preparazione. Nel 1986 rientrai in Italia, feci un anno allo Stato Maggiore, poi fino al 1989 comandai il mio vecchio XIII Gruppo Acquisizione Obiettivi. Dopodiché, e fino al ’92, divenni responsabile delle Operazioni speciali al comando Nato di Verona». Era appena caduto il muro di Berlino. «La Jugoslavia stava disintegrandosi e cominciava la guerra nei Balcani. Tutto un nuovo e diverso scenario strategico che poi incise sui miei incarichi». In quale modo? «Dopo un periodo da comandante di Reggimento, nel frattempo ero diventato colonnello, mi mandarono in giro per l’Europa dell’Est come Capo ispettore per la limitazione degli armamenti convenzionali. Nostro compito era di accertare come procedeva la distruzione dei vecchi arnesi come gli obici, che andavano sezionati, i carri armati cui andavano distrutti i cingoli, gli aerei, da smontare». Quanto è durata l’operazione? «Diversi anni e mi sono mosso da Mosca alla Bielorussia, da Varsavia a Praga, dall’Ungheria all’Ucraina, alla Bulgaria, all’ex Ddr. Un’esperienza incredibile, a tu per tu con l’ex nemico». Al rientro cosa succede? «La mia carriera era ormai al culmine, per qualche tempo ricoprii la carica di presidente del Consiglio di leva a Verona, poi fui messo a disposizione; nel 2004 andai in pensione da generale. E con la famiglia tornai a Ravenna. Ma intanto mi ero dato al cinema e alle conferenze.» Partiamo da queste ultime, su che temi e dove? «Soprattutto fra Ravenna e Verona, su temi come la guerra in Jugoslavia, i Balcani, la guerra non convenzionale, la rinascita del nostro esercito dopo l’8 settembre e il contributo dato alla Liberazione e poi gli organismi internazionali, Onu, Nato, la situazione in Siria e in Libia…». E veniamo al cinema. Come nasce la cosa? «Era il ’98, a Ravenna Gianni Lepre girava la fiction ‘Fine secolo’ e mia figlia mi iscrisse al casting per le comparse. Fui subito chiamato. E si è aperto uno scenario immenso. Da allora ho partecipato a una quindicina di film. Mi piace ricordare ‘Centochiodi’ con Ermanno Olmi, lì faccio la parte del generale dei carabinieri e poi ‘Onora il padre’ con Leo Gullotta, ‘La rivincita di Natale’ di Pupi Avati, ‘Vacanze in India’ di Neri Parenti e poi ‘Che ne sarà di noi’,’ La giusta distanza’, ‘Amanti segreti’ e tanti altri fino al salto di qualità nel ruolo di attore secondario nella fiction ‘Ispettore Coliandro’. E da ultimo, uscirà a metà dicembre, ‘Diabolik’ diretto da Manetti Bros».

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