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Pubblicato il 28/06/2014

100 ANNI DALLA PRIMA GUERRA: LA CONTROVERSA FIGURA DI CADORNA


DI ROBERTO SPAZZALI

La figura del generale Luigi Cadorna rimane legata alla condotta italiana nei primi due anni di guerra, fino alla rotta di Caporetto di cui fu considerato, nella posizione di Capo di Stato maggiore, il primo responsabile per non avere valutato l’entità della manovra austro-tedesca. Eppure egli, in quei due anni di guerra, sicuramente aveva conseguito almeno due importanti affermazioni sul campo tra il maggio e l’agosto 1916: avere arrestato la Strafexpedition sull’altopiano di Folgaria-Lavarone e conquistato successivamente la città di Gorizia, prendendo in quell’estate la Baisnizza. Ma a quale prezzo! Le sue teorie delle spallate, cioè dell’impiego in grande stile di masse di soldati, accompagnato dall’utilizzo delle artiglierie di medio e grosso calibro per scompaginare i trinceramenti avversari e ridurre le forze austriache fino a costringere alla resa per esaurimento delle riserve, appartenevano ad una concezione strategica largamente diffusa nelle scuole di pensiero militare europee. Comandante dallo scarso senso tattico, fin dai primi giorni dell’ impiego bellico italiano Cadorna si dimostrò poco flessibile nel gestire un fronte esteso dallo Stelvio al Carso e nella pianura friulana. Proprio all’inizio delle ostilità, invece di giocare la carta della celerità e della sorpresa si mosse con esasperante lentezza, forse attendendo una qualche evoluzione diplomatica del conflitto, per posticipare gli scontri solo a giugno dando agli austriaci tutto il tempo di organizzarsi e di aspettare gli italiani da posizioni di vantaggio. Un vantaggio che costò agli italiani la perdita di non meno di 11mila uomini tra morti e feriti, solo nella prima fase di ostilità. Per comprendere la figura di Luigi Cadorna, nato a Pallanza nel 1850 e figlio d Raffaele, generale e conte che aveva combattuto nelle guerre risorgimentali e poi guidato le operazioni militari precedenti la presa di Roma (1870), è bene conoscere l’ambiente militare in cui egli si è formato, cioè la scuola militare “Teulié” di Milano e l’accademia militare di Torino nella tradizione sabauda di una casta militare che ancora si differenziava, nei primi anni dell’unità nazionale, nelle tradizioni rispetto la scuola militare “Nunziatella” di impronta borbonica. L’esercito, come la marina d’altronde, era uno e di uno stato unitario, ma era innegabile che le radici preunitarie erano ancora forti e facevano la differenza e pure la diffidenza in materia di carriera. Comunque la carriera di Luigi Cadorna è tutta improntata alla vita da guarnigione, alla disciplina inflessibile e alle sanzioni esemplari. Nasce allora la fama negativa del comandante severo, cattolico praticante, moralmente ineccepibile ma quasi insensibile alle difficoltà di una truppa di leva, fatta per lo più da contadini, che vedeva il servizio militare come una coercizione. Sarà così detestato in pace quanto odiato in guerra, fino a diventare oggetto di tante strofe anonime di intonazione antimilitarista e libertaria. Durante il comando del 10° reggimento bersaglieri mette a punto la sua visione tattica dell’offensiva estenuante ma proprio nel 1895, quando avrebbe avuto tutta la possibilità di mettere in pratica le sue teorie nel corso della guerra d’Abissinia, curiosamente viene nominato capo di Stato maggiore del corpo d’Armata di stanza a Firenze e da allora inizia una lenta ascesa ai vertici dell’esercito, spesso masticando amaro per veri o presunti smacchi subiti a vantaggio di suoi colleghi ritenuti migliori, come il generale Nicola Heusch, preferito a Cadorna per il prestigioso incarico di ispettore generale delle truppe alpine, ma formatosi nell’esercito del Granducato di Toscana e poi impegnato in Abissinia e nella repressione dei moti sociali della Lunigiana. In seguito Cadorna non nasconde l’ambizione di dirigere la scuola di guerra ma la sua candidatura viene giudicata meno significativa di quella del generale Luigi Zuccari, considerato il braccio destro di Alberto Pollio, il capo di Stato Maggiore che allora esprimeva la più completa adesione alla Triplice alleanza e una smisurata ammirazione per gli ambienti militari germanici, mentre era diffidente verso quelli austriaci, tanto da rendere disponibile, in caso di guerra contro la Francia o la Russia, dei comandi tedeschi tre corpi d’Armata italiani. Un’altra occasione perduta per Cadorna sarà il mancato comando del contingente destinato alla guerra italo-turca del 1911, affidato invece al generale Carlo Caneva. La grande occasione giunge con la morte improvvisa di Alberto Pollio, il 1° luglio 1914, pochi giorni dopo l’attentato di Sarajevo, tanto da favoleggiare un complotto interno per liquidare il più “tedesco” dei generali italiani, quando la scelta del nuovo Capo di Stato maggiore cade proprio su Luigi Cadorna, gradito da Vittorio Emanuele III anche perché estraneo ai fallimenti militari africani e ai tentativi autoritari interni. La nomina coincide con lo scoppio delle ostilità tra Austria e Serbia (27 luglio) ed egli eredita una situazione in forte ritardo con un esercito già logorato dalla guerra coloniale in Libia che impegnava dal 1911 un intero corpo d’Armata. In quel momento Cadorna rappresenta la svolta politica più significativa in seno alle forze armate, almeno per il personale sentimento antiaustriaco e la tradizione risorgimentale di famiglia. Ma le indecisioni del governo italiano e poi la scelta repentina di passare con l’Intesa, mettono Cadorna nelle condizioni di affrettare i preparativi. La conduzione bellica di Cadorna fu caratterizzata dalla costante preoccupazione di evitare uno sfondamento nemico sulla pianura veneta e di procedere, soprattutto sul Carso, a graduali conquiste pagate a prezzo altissimo in nome della sua visione strategica e spesso ottenute con espedienti. La sorpresa, e successiva rotta di Caporetto, sta nella sua maggiore responsabilità di avere sottovalutato, in primo luogo, il sistema dei collegamenti tra le grandi unità disposte sul fronte dell’Isonzo e quindi di avere disposto uno schieramento difensivo efficace in quelle vallate che presumibilmente sarebbero state oggetto di attacco avversario. Come nel maggio 1916, egli deve governare un ripiegamento qui molto più complesso e profondo, con la minaccia del tracollo se gli austriaci si fossero mossi sul fronte trentino con la stessa determinazione mostrata Caporetto. Ma almeno il sistema difensivo attuato sul Grappa resse l’urto. La sua rimozione dal comando giunge su pressione degli alleati dell’Intesa, anzi la pongono come condizione ai rinforzi da inviare sul Piave, facendo il nome del successore: Emanuele Filiberto duca d’Aosta. Vittorio Emanuele Orlando, neo primo ministro, informò il sovrano delle richieste e il sovrano decretò la fine della carriera militare di Luigi Cadorna rifiutando però di sostituirlo con il duca d’Aosta nel timore di ripercussioni dinastiche. La scelta allora cadde l’8 novembre 1917 su Armando Diaz, uomo di altra tempra, il quale riorganizzò e motivò ciò che rimaneva dell’esercito italiano. Luigi Cadorna, ritenuto nel dopoguerra dalla commissione d’inchiesta corresponsabile della rotta di Caporetto, fu parzialmente riabilitato con la gratifica di maresciallo d’Italia disposta nel 1924 da Mussolini, malgrado le forti proteste dei reduci di guerra. Visse in disparte gli ultimi anni, non aderì al fascismo e morì a Bordighera nel dicembre 1928

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