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Pubblicato il 04/08/2020

ANCHE L’ISTITUTO GEOGRAFICO MILITARE NEL GRUPPO DI STUDIO “ANTI TERREMOTI”

E’ stato messo a punto da un team di ricercatori dell’Università di Firenze, dell’Istituto Geografico Militare (Igm) ente dell’Esercito Italiano e dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del Cnr

Firenze, 4 ago. – La misurazione da satellite delle deformazioni del suolo permette di migliorare l’identificazione delle aree italiane a più alta pericolosità sismica. La metodologia è stata messa a punto da un team di ricercatori dell’Università di Firenze, dell’Istituto Geografico Militare (Igm) ente dell’Esercito Italiano e dell’Istituto di Geoscienze e Georisorse del Cnr che ha utilizzato le osservazioni satellitari per monitorare nel tempo le zone con elevato tasso di deformazione crostale. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista “Nature Scientific Reports”.
I quattro autori dello studio – il coordinatore del progetto Gregorio Farolfi, di Igm, Nicola Casagli e Derek Keir, del Dipartimento di Scienze della Terra Unifi, e Giacomo Corti, del Cnr – hanno lavorato sulle immagini dei radar satellitari raccolte dal 1991 al 2011 analizzando i movimenti superficiali del terreno su tutta la penisola italiana e calcolando il tasso di deformazione, o strain rate, che rappresenta l’energia deformativa accumulata nella crosta terrestre durante i processi tettonici.

Non siamo ancora in grado di prevedere i terremoti
“Ancora oggi non è possibile prevedere quando avverrà un terremoto – spiega Nicola Casagli – ma per avvicinarci sempre di più a tale obiettivo è necessario andare oltre alla analisi statistica dei dati sismici storici e strumentali, integrandoli con misurazioni molto precise sulle deformazioni superficiali della crosta terrestre che i recenti satelliti ci consentono”.
I ricercatori hanno ricavato la misura delle modifiche premonitrici analizzando i movimenti dei punti appartenenti a una rete molto fitta di bersagli individuati dai radar satellitari, integrati con i dati registrati dalle stazioni Gnss (Global Navigational Satellite System) e hanno descritto i la relazione tra le zone ad alta deformazione e la distribuzione dei terremoti. A riprova di tale relazione, fra le aree italiane a maggiore tasso di deformazione documentate dallo studio ci sono quelle colpite dai terremoti recenti più forti.
“Il metodo che proponiamo, basato sull’analisi di dati resi pubblicamente disponibili dal Ministero dell’ambiente e Igm – commenta Gregorio Farolfi – non solo introduce nuovi elementi per la comprensione dei meccanismi che generano i terremoti ma rappresenta un approccio innovativo per monitorare le aree a più alta pericolosità e dunque per proteggerci meglio, costruendo in modo corretto nei luoghi adatti”.

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