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Pubblicato il 29/10/2019

COME ANDARE IN PARADISO? CRISTIANI E MUSULMANI

di Gaetano CANETTI

MUHAMMAD CONDANNA IL SUICIDIO MA L’ISLAM POST-MODERNO ASSOLVE GLI ATTENTATORI


Prendo spunto dall’articolo di Corrado Corradi apparso il 28/10/19
https://www.congedatifolgore.com/it/al-baghdadi-si-fa-esplodere-qualche-dubbio/ per introdurre il lettore ad un problema oramai marginale per l’attuale uomo occidentale, post-cristiano non più credente in Gesù risorto, ma fondamentale per l’attuale musulmano credente e praticante:
come andare in Paradiso?
Lasciamo cadere la domanda per il cristianesimo: tanto a noi non importa, è una faccenda che non ci riguarda, attendiamo il fine settimana che ci aspetta terminato il “duro” lavoro.
Al musulmano, invece, la domanda interessa eccome e dobbiamo prenderne atto.
Questo è uno degli ostacoli principali al confronto serio con la religione Islamica.

Scrive Padre Khalil Samir, già consigliere per l’Islam di Benedetto XVI (e allontanato da Bergoglio…), nel suo “Cento domande sull’Islam”; utilizziamo il suo immenso sapere ma potremmo citare altre autorevoli fonti:
“Nel Corano si allude una sola volta al suicidio, nella sura delle Donne (IV, 29): “O voi che credete, non divorate vicendevolmente i vostri beni ma commerciate con mutuo consenso e non uccidete voi stessi. Allah è misericordioso verso di voi”. A questo unico riferimento coranico si aggiunge una serie di hadith: ne conosco almeno sette e tutti condannano il suicidio. […] In definitiva il suicidio non trova nessuna giustificazione nella tradizione islamica.””
Certo, Muhammad ha condannato il suicidio ma… ha glorificato i Martiri del Jihad.
Lo stesso autore di seguito ricorda le prese di posizione più autorevoli fino al comunicato ufficiale del summit tenutosi a Beirut nel 2002 cui hanno partecipato oltre duecento ulema sunniti e sciiti provenienti da trentacinque paesi, uno stralcio:
“Le azioni di martirio dei mujahidin sono legittime e trovano fondamento nel Corano e nella tradizione del profeta. Rappresentano anzi il martirio più sublime dato che i mujahidin le compiono con totale coscienza e libera decisione”.

Continua poi l’autore:
A loro avviso non si deve considerare l´attentato come gesto a se stante, ma in base allo scopo per il quale viene compiuto, che può essere ricondotto nella categoria del jihad perché si vuole proteggere o liberare un territorio musulmano in pericolo.
Dunque: se ti suicidi vai all’Inferno ma se ti fai saltare in aria e uccidi gli infedeli diventi Martire e vai in Paradiso.
Tornando all’articolo sopra citato, il tentativo di farsi esplodere e, dunque, di diventare “Martire” di Al Baghdadi, non contraddice la autenticità del racconto ma, anzi, la avvalora.
Ricordiamo, inoltre, il “lignaggio” ed il nome di battaglia del “Martire”: “Califfo” Abu Bakr.
Nel 632 d.C. muore Muhammad e viene eletto CALIFFO (successore) ABU BAKR il suo amico fedele dell’Egira e padre della sposa bambina Aisha (sposata a sei anni e “utilizzata” a nove… dal profeta).
Muhammad assoggettò tutte le tribù arabe della penisola ma chi portò per primo l’Islam, con la spada, fuori dai propri naturali confini fu il primo Califfo Abu Bakr invadendo proprio la Siria.
Un caso che l’autoproclamato Califfo abbia scelto un tale nome di battaglia?
Un musulmano non può suicidarsi, figuriamoci un “Califfo Abu Bakr”: ma può diventare Martire, facendosi esplodere, per andare direttamente in Paradiso, senza nemmeno passare per il Ponte di Assirat, ma… questa è un’altra storia.
Sia chiaro: l’islamico ci crede fermamente e bisogna averne grande rispetto.
Noi… attendiamo il week end.
Gaetano Canetti

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