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Pubblicato il 27/01/2014

LA PLASTICA MINACCIA IL MEDITERRANEO ITALIANO


ROMA – Il “Great Pacific Garbage Patch” è un’immensa isola formata da tutti i rifiuti di plastica che sono stati gettati negli ultimi 50 anni. E’ dalla scoperta di questa realtà che è partito il lungo viaggio di Nicolò Carnimeo, professore all’Università di Bari ma anche scrittore e navigatore. A Londra ha incontrato chi ha scoperto questa isola di plastica, il comandante Charles Moore e insieme sono andati a vederla.

Ma dagli oceani, il gruppo di ricerca è passato a monitorare il Mediterraneo. “Ho partecipato a una spedizione scientifica che si chiama “Expedition M.e.d.” e abbiamo scoperto una cosa devastante, nel nostro Mediterraneo – racconta Carmineo – che è un mare chiuso, di plastica ce ne è ancora di più! Miliardi e miliardi di microframmenti. La stessa sabbia dove camminiamo, ormai è di plastica. Fate una prova, prendete una specie di rastrello, quello che usano i bambini per giocare e guardate quanti microframmenti ci sono!

Da dove viene l’isola di plastica? L’hanno formata i milioni di oggetti di plastica usa e getta, di polietilene, che utilizziamo ogni giorno, bicchieri, piatti, bottiglie.

“Quando fu inventata la plastica un premio Nobel, Flory la definì l’elemento che la natura si era dimenticata di creare, siamo proprio sicuri? – continua Carmineo – Non può esistere nulla che non venga poi risolto in composti semplici, che non sia biodegradibile assolutamente. Così deve essere il nostro passaggio su questa terra, non deve lasciare assolutamente traccia.Navigando ho imparato che deve essere come quando si va in barca a vela, la prua apre una scia, noi ci passiamo in mezzo e poi quella scia si richiude dietro di noi.

come è profondo il mare CarnimeoNel libro che Nicolò Carnimeo ha scritto “Come è profondo il Mare” (Ed. Chiarelettere) chiama l’isola di plastica l’isola che non c’è, perché in effetti è formata da miliardi e miliardi di piccolissimi frammenti diventati pulviscolo, perché la plastica in mare si frantuma, si degrada. Perché sono così pericolosi? Perché imitano il plancton, la base della catena alimentare. I pesci poi si mangiano, dal più piccolo al più grande, e i frammenti di plastica entrano nella catena alimentare e arrivano fino a noi, con quali conseguenze ancora non sappiamo.
Come ci si rende conto se c’è la plastica? Magari l’acqua sembra cristallina, limpidissima, ebbene si cala una rete, detta “Manta Trauwl”, una specie di imbuto che filtra il mare. Quando viene fuori questa rete ci rendiamo conto della quantità di plastica.

UN MARE PIENO DI MERCURIO CHE INGERIAMO

La plastica non è l’unico elemento che sta devastando i nostri mari ma c’è anche il mercurio. “Me ne sono accorto sul Gargano quando sette giovani capodogli si sono spiaggiati – racconta ancora Carnimeo – Erano dei giovani capodogli nati e cresciuti nel Mediterraneo. Qualcosa di terribile li ha spinti a correre verso le coste del Gargano, sette giorni, nuotando incessantemente senza mangiare, per morire lì. Tutte le cause non si sanno, ma sicuramente una è certa: il mercurio! Quando si analizzano i tessuti dei capodogli si trovano tutti gli inquinanti che noi sversiamo in mare, tra questi il mercurio è tra i più pericolosi. Abbiamo due tipologie di rischio, una quando c’è un inquinamento specifico, cioè c’è una fabbrica inquinante che sversa mercurio in una determinata zona e l’altra per la generalità dei consumatori”.

Nella Baia di Minamata, in Giappone ci fu l’inquinamento specifico per una comunità di pescatori, che mangiavano pesce, tanto mercurio entrò nell’organismo dei pesci, Ci furono circa mille morti! E non dobbiamo pensare che Minamata sia così lontana, perché c’è anche nel nostro Mediterraneo! Abbiamo Augusta Priolo, Taranto! Il mercurio per le donne incinte si accumula nel feto e nascono bimbi malformati, questo è avvenuto a Minamata ed è avvenuto anche da noi.

Infine, racconta Carnimeo “ho incontrato moltissime persone che hanno dedicato ogni giorno la loro vita al mare, sono persone comuni, chi ha scoperto l’isola di plastica, il comandante Charles Moore, ha fatto il falegname! Ha avuto un lascito e ha dedicato tutti quei soldi per la ricerca e la diffusione di questa forma di inquinamento. Ho incontrato comandanti della Marina Militare, sommozzatori, i nostri eroi silenziosi, che scendono nei fondali e con picozza e scalpello tolgono le bombe di questa fondali, rischiando la loro vita, nessuno sa di loro. Noi dovremmo fare come loro nella nostra vita quotidiana, bastano gesti semplici, quando andiamo a fare la spesa al supermercato portiamoci la nostra borsa, usiamo bottiglie di vetro, che vengono riciclate, non gettiamo nulla nell’ambiente. Non tutte le buste che riteniamo biodegradabili lo sono, spesso arrivano in mare, si frantumano e diventano pulviscolo. Dobbiamo scegliere le plastiche che si degradano in composti semplici. Salvare il mare si può, Passate parola!”

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