CRONACA AGGIORNATA OGNI ORA

Condividi:

Pubblicato il 05/03/2015

RASSEGNA STAMPA: IL FATTO QUOTIDIANO PARLA DI FIUMICINO . SICUREZZA COLABRODO

IL FATTO QUOTIDIANO
del 5 Marzo 2015

Mattina di un giorno feriale. “Papà, ma l’Isis ci può invadere?”, mi chiede mia figlia mentre l’accompagno in macchina all’aeroporto di Fiumicino per un viaggio con la scuola. “No”, le rispondo, “Non hanno un esercito in grado di farlo. E ti prego, cerca di capire e approfondire le notizie. Un’adolescente può farlo”. Ma non posso fare a meno di pensare al bombardamento mediatico sull’allarme terrorismo e ai meccanismi dell’induzione della paura. “Sì, ma io un po ’ di preoccupazione ce l’ho. Fiumicino è sicuro?”. “Ma certo, stai tranquilla. Gli aeroporti sono i posti più controllati al mondo” e tronco la discussione. Dopotutto, perché non dovrebbe essere così di questi tempi? Foreign fighters pronti a colpire, Vaticano nel mirino, migliaia di militari a protezione dei luoghi sensibili. Il capo della Polizia alza il livello di allarme. Persino l’ombra del Jihad su Sanremo. Alfano: Milano e Roma sono nel mirino. Sono alcuni dei titoli dei giornali e dei tg dell’ultimo paio di settimane. Mi scatta un po ’ di curiosità. Troverò un aeroporto assediato, mi dico mentre dall’autostrada imbocco lo svincolo che porta ai parcheggi, mentre cerco di distrarre mia figlia (e me stesso) chiedendole se ha preso tutto, documenti, soldi, copia del biglietto eccetera. Rallento, ci sono gli autovelox. Posti di blocco? Nemmeno l’ombra. Ma non siamo in guerra? Curvo a 40 all’ora verso i garage, do un’occhiata in giro, magari c’è una pattuglia, che so, dei vigili: niente. Qualche auto parcheggiata in divieto di sosta, è fisiologico. Chiudo la macchina e ci avviamo verso il terminal, senza fretta, siamo in anticipo, i tapis roulant non funzionano e nemmeno le scale mobili, fisiologico anche questo. Cos’è quella storia che gli aeroporti sono il biglietto da visita di una nazione? Ma almeno i pavimenti sono tirati a lucido. Scendiamo le scale per trovare il banco del check in, camminiamo per una cinquantina di metri e mia figlia mi fa: “Scusa ma può entrare chiunque di questi tempi? Nessuno controlla?” “Ma smettila” le dico “mica siamo in guerra, e poi è un luogo pubblico” Poi cerco di farla ridere “il tuo banco è proprio vicino a quello dell’Isis”, però lei mi rimanda un’occhiataccia. All’accettazione c’è una folla festante di ragazzini, ma il volo è cancellato. Li imbarcheranno quattro ore dopo su un altro aereo. Decido di restare. Cercando di capire quale sia il livello di sicurezza, mi avvio alla libreria, su per il mezzanino. Da lì c’è una buona vista su tutto il terminal. Non si vedono poliziotti.
PERCORRO TUTTO IL PIANO, perdo tempo affacciato alla balaustra; niente, salvo il solito panorama di passeggeri, equipaggi, famiglie, studenti e gente che ha più o meno fretta di orientarsi. Vado a controllare gli imbarchi: a metà mattinata non c’è praticamente fila, c’è un addetto che filtra gli ingressi ai metal detector controllando le carte d’imbarco. Carabinieri? Zero. Ma certamente saranno oltre i varchi, penso. Allora intigno. Esco dal terminal e dall’esterno vado a verificare dove sono le truppe per la guerra al Califfato, ma lungo il marciapiede che porta agli altri terminal non ci sono carri armati, postazioni antiaeree, lanciamissili. Guardo sui tetti dei garage coperti, ma tiratori scelti non se ne vedono proprio. Però non c’è nemmeno un finanziere. Controllo se il volo è effettivamente confermato ed entro nell’altro gigantesco terminal delle partenze, ormai è una sfida. Almeno un agente lo incontrerò. No. Torno indietro e vedo passare una Punto della polizia municipale, ma non si ferma. Per quanto mi sforzi, non riesco a immaginare che la coppia di simpatici signori che indossano il badge degli aeroporti di Roma e scherzano in romanesco fumando all’esterno siano delle forze speciali. Compro il giornale, vado al bar, mi siedo. Forse passeranno i militari… ma no. Le mimetiche sono solo nei manifesti. Ma non c’era un’operazione strade sicure? Alla fine mi rassegno. Spero solo che i metal detector funzionino e che qualcuno controlli i bagagli. Per quattro ore alle partenze internazionali dello scalo aereo più grande d’Italia, un paese che ci raccontano essere ad altissimo rischio terrorismo, non ho visto nessun controllo, né una forma di deterrenza. Forse è stato un caso. Mentre saluto mia figlia penso alla distanza che c’è tra gli annunci e i fatti che dovrebbero essere conseguenti, alla realtà virtuale nella quale siamo immersi, ai politici che vincono le elezioni e mantengono il potere anche grazie alla paura e alle scalette dei telegiornali taroccate. E penso anche che l’antiterrorismo è una cosa troppo seria per farlo fare a gente come questa.

Leggi anche