OPINIONI

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Pubblicato il 12/02/2017

CAPORETTO E CADORNA

PARMA- Da un incontro fatto con alcuni alti ufficiali in servizio dell’Esercito mi è nata la curiosità di approfondire due “tabù” della prima guerra mondiale: Caporetto e Cadorna. Ho centinaia di casi ( tutti) che i tormentoni ideati dai manipolatori dell’informazione e della storia e che vengono fatti propri dalla “massa”, sono sempre falsi. Ben lo sanno i combattenti di El Alamein o della RSI. Le polemiche su Caporetto ne sono una ulteriore prova.
I fatti sono noti: il capitano Erwin Rommel che era al comando di una compagnia sul fronte italiano, si trovò nella conca di Caporetto non presidiata, durante la massiccia e invasiva preparazione di artiglieria austro ungarica, che intendeva sfruttare la debolezza dell’Intesa. Da lì “sfondarono” e ottennero una vittoria aiutata dai reparti che si arresero.

Caporetto simboleggia all’estero, e purtroppo anche in Italia, più di ogni altra battaglia, la partecipazione italiana alla grande guerra. Caporetto è diventato sinonimo di sconfitta cocente e devastante. In realtà, fu solo una parte dell’Esercito, la 2ª Armata ed il XII Corpo d’Armata della Zona Carnia, ad essere coinvolta nel disastro, le altre Armate (1ª, 3ª e 4ª) tennero bene e si deve a loro la vittoria nella battaglia d’arresto del novembre-dicembre 1917 che salvò l’Italia e l’Intesa.

La sconfitta di Caporetto va inquadrata nella situazione di crisi di quasi tutti gli alleati dell’Intesa del 1917. Questo, infatti, fu l’anno della sfiducia e della stanchezza per i popoli che non riuscivano a intravedere la fine della guerra. La crisi non risparmiò nessuno e gli stessi Tedeschi tennero una condotta strettamente difensiva; si può dire che ne restasse immune la sola Inghilterra che aveva nella sua storia tutta la tradizione di lunghi duelli vinti con la virtù fredda della ostinazione e poi essa aveva conosciuto per ultima il dissanguamento dei campi di battaglia, avendo solo da un anno messo in linea forze adeguate al suo popolo. In Francia poi la crisi fu gravissima e non ebbe conseguenze, unicamente perché essa non fu attaccata in quel momento ed ebbe tutto il tempo di riprendersi in una inerzia prolungata. Il fallimento dell’offensiva Nivelle dell’aprile-maggio 1917 ebbe gravi conseguenze sul morale dell’Esercito Francese che aveva sperato in una vittoria decisiva. La delusione fu tale che in 16 corpi d’armata si ebbero casi di ammutinamento; il paese cadde in una profonda depressione e il disfattismo spadroneggiò e dilagarono gli scandali di spionaggio. Il Ministro della Guerra Painlevé ha scritto che al principio di giugno 1917 la situazione era così grave che non vi erano se non due divisioni sulle quali fare assoluto assegnamento qualora i Tedeschi avessero attaccato. La Russia doveva addirittura sparire dalla lotta: il 15 marzo, davanti alla rivoluzione, lo zar abdicava ed essa da quel momento cessò di essere una forza militarmente attiva. La crisi francese ed il dissolvimento della Russia si ripercossero sull’Italia, che dovette sopportare in quell’anno il maggior peso della guerra. Il 7 luglio 1917 il Ministro della Guerra francese dichiarava solennemente dalla tribuna del Parlamento che “bisognava per un pezzo rinunciare alle grandi offensive.” Questa inaudita dichiarazione equivaleva ad assicurare il Comando tedesco che poteva star tranquillo da quella parte e disporre altrove delle sue forze, ciò che fece quando ne vide la necessità, prima contro i Russi eliminandoli dalla scena e poi contro gli Italiani a Caporetto.

L’appoggio di 11 divisioni tedesche all’offensiva austro-ungarica si rilevò essenziale. I Tedeschi ricorsero a nuovi sistemi offensivi basati su una preparazione d’artiglieria breve ma intensissima e su attacchi di fanteria che ricorrevano alla tecnica dell’infiltrazione. Il bombardamento d’artiglieria di una violenza inusitata per il fronte italiano ed il ricorso a aggressivi chimici mai usati in precedenza contro il Regio Esercito facilitarono lo sfondamento delle linee italiane. Altre cause dell’insuccesso furono l’erroneo schieramento delle artiglierie italiane troppo addossate alle prime linee e delle riserve affluite da poco sul fronte del medio Isonzo e che non avevano avuto modo di orientarsi sulle nuove posizioni. Le truppe della 2ª Armata, inoltre, erano molto stanche e provate dalla 10ª ed 11ª battaglia dell’Isonzo, nel corso delle quali avevano subito perdite molto elevate. Fu, comunque, l’elevato ritmo dell’azione austro-tedesca a mettere in crisi lo schieramento italiano, e già nel primo giorno dell’offensiva la situazione della 2ª Armata era gravemente compromessa e non poté più essere ristabilita. Nonostante la sorpresa per il repentino collasso di tutte le linee di difesa italiane, il Comando Supremo seppe reagire con freddezza emanando ordini di ritirata sulle posizioni del Piave che salvarono la situazione. La manovra in ripiegamento fu un successo e, se le residue forze della 2ª Armata ripiegarono in completo disordine, la 3ª e 4ª Armata si mantennero salde, arginarono con le proprie retroguardie l’avanzata nemica e riuscirono a schierarsi con ordine sulle posizioni del Grappa-Piave. Il 9 novembre gli ultimi reparti italiani passarono il Piave e il mattino dopo cominciava la seconda parte della battaglia, quella generalmente trascurata dagli storici, mentre per asprezza, per durata e per conseguenze sovrasta la prima e ne riduce largamente la vera portata. Infatti la prima parte della battaglia con lo sfondamento nemico e non certo priva di splendidi fatti d’arme come le battaglie di Ragogna e quella di Pozzuolo del Friuli, durò appena due settimane e la seconda infuriò, con una breve sosta, dal 10 novembre al 26 dicembre, per ben sette settimane durante le quali 55 divisioni nemiche, lanciate dal successo e potentemente sostenute, furono sanguinosamente respinte da 35 divisioni italiane, stremate e depresse da una lunga ritirata, con pochi mezzi e senza riserve, spesso su posizioni improvvisate. La vittoria italiana nella seconda fase della battaglia di Caporetto salvò non solo l’Italia dalla capitolazione, ma anche l’Intesa, evitando che con l’uscita di scena dell’Italia, tutte le forze austro-ungariche si riversassero sul fronte occidentale alterando in modo decisivo i rapporti di forze tra Tedeschi e Franco-britannici a tutto vantaggio dei primi.
Giusto per confermare che “Caporetto” non fu un episodio soltanto italiano rammentiamo che:
all’inizio della guerra nel 1914 sotto la spinta tedesca l’esercito inglese (BEF) si ritirò per 250 kilometri in 18 giorni, seguiti dai 450 km di ritirata russi da maggio a settembre del 1915, i 500 km in cento giorni dei romeni sotto la spinta tedesca nel 1916, e ancora nel 1918 la ritirata britannica dalla Somme per 70 km in 15 giorni.
Sotto la pressione italiana di Vittorio Veneto nel 1918, gli Austro Ungarici in rotta (questa volta davvero) ripiegarono per oltre settanta kilometri fra il 3 e il 4 novembre


LA DISCIPLINA DI CADORNA
Una delle principali accuse mosse dalla Commissione d’inchiesta di Caporetto al Capo di Stato Maggiore dell’Esercito gen. Luigi Cadorna fu il sistema di governo dei quadri, improntato ad una eccessiva severità, da cui derivava la pratica diffusa dei cosiddetti “siluramenti”, cioè dell’esonero dal comando e messa a riposo di ufficiali generali e superiori. Ciò avrebbe condizionato l’operato degli ufficiali, resi titubanti ed incerti di fronte alla minaccia di esonero a seguito di insuccessi riportati nelle azioni. Il timore dei siluramenti avrebbe ingenerato anche mancanza di fiducia nelle proprie possibilità e di schiettezza nei rapporti gerarchici, facendo omettere situazioni critiche che si verificavano nei reparti dipendenti per non incorrere nelle ire dei superiori.
La dura disciplina imposta alle truppe non risparmiò, in effetti, gli ufficiali superiori e generali, numerosi dei quali furono destituiti senza troppi riguardi, nemmeno quando posti al comando di un’armata. Cadorna, comunque, esonerò direttamente solo una decina di generali. Gli altri, 800 circa tra ufficiali generali e superiori nel periodo 1915-1917, furono destituiti su proposte provenienti dai comandi in sottordine.
Se la pratica dei siluramenti fu censurata da molti, vari altri ufficiali interrogati dalla Commissione d’Inchiesta di Caporetto non la ritennero, poi, così deleteria ai fini dell’esplicazione dell’attività di comando da parte dei maggiori responsabili della direzione delle operazioni belliche. Alcuni, anzi, la considerarono un male necessario, a causa della scarsa preparazione militare e professionale di molti ufficiali, accompagnate spesso da scarsa decisione e mordente e precarie qualità fisiche. In effetti, delle numerose cause intentate dopo la guerra per il riesame del provvedimento di esonero, pochissime ebbero risultato positivo. Solo 13 ufficiali generali su 206 silurati furono riabilitati entro il settembre 1919. E’ da considerare, inoltre, che i siluramenti furono pratica molto in voga anche nell’Esercito Francese, soprattutto nelle fasi iniziali della guerra, quando dal 25 agosto al 31 ottobre 1914, furono destituiti 10 comandanti di corpo d’armata su 20 e 4 comandanti d’armata. Secondo l’addetto militare a Londra, le esonerazioni nell’esercito inglese nel corso del conflitto furono “molte centinaia, se si considera rango generale divisionario e brigadiere e qualche migliaio se si arriva a comandante battaglione o gruppo artiglieria. Come noto colonnello non aveva comando.” A seguito di una visita al fronte italiano, il Capo di Stato Maggiore britannico, gen. Robertson, nell’aprile 1917 scrisse a Cadorna una lettera di ringraziamento e di apprezzamento di quanto aveva visto, in cui rilevava però: “Ciò che forse più mi ha colpito è stata la difficoltà del terreno sul quale combatte il Vostro Esercito e la conseguente necessità di avere comandanti energici ed anche fisicamente forti, capaci di sovrintendere alle operazioni dei loro comandi con quel vigore che è richiesto dalle esigenti condizioni della guerra moderna. So che in pace il regolamento italiano sull’avanzamento è largamente basato sull’anzianità di servizio, col risultato che i comandanti più anziani sono probabilmente alquanto vecchi per la loro posizione. Lo stesso sistema prevaleva nel nostro Esercito prima della guerra, come pure nell’Esercito Francese, ma entrambi abbiamo trovato necessario di cambiare l’ordinaria routine di pace e di selezionare gli ufficiali comandanti di armate, di corpi d’armata e di altre unità senza riguardo alla loro anzianità, adoperando solo quelli che hanno tutte le qualità fisiche e mentali per sopportare i gravi doveri dei comandanti in questa guerra. Credo che anche Voi avrete la possibilità di scegliere i comandanti su questa base e non sarete legati alla solita routine di pace, come sono sicuro che nessuno sa meglio di Voi in qual grado l’efficienza combattiva delle truppe dipenda dalla personale sovrintendenza ed energia stimolatrice data ad esse dai loro comandanti.” Robertson, evidentemente, stimando poco le qualità dei generali italiani, consigliava Cadorna a procedere ad un’opera di epurazione ancora più profonda.

Da rilevare, poi, che Cadorna aveva un importante e poco noto sistema di controllo dei comandi dipendenti e di giudizio sull’operato degli ufficiali generali, costituito dal servizio degli ufficiali di collegamento, istituito nel giugno 1915. Si trattava di ufficiali inferiori dello Stato Maggiore distaccati presso comandi di armata, corpo d’armata e divisione col compito esclusivo di riferire direttamente all’Ufficio Situazione del Comando Supremo tutto quanto accadeva di rilevante sulle operazioni in corso, sul morale delle truppe, sull’attività dei comandi, sui rifornimenti logistici, ecc. E’ probabile che molti dei siluramenti siano stati ispirati o quanto meno confortati dalle relazioni degli ufficiali di collegamento, la cui direzione era affidata al Sottocapo di Stato Maggiore, gen. Carlo Porro.

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