CRONACA AGGIORNATA OGNI ORA

Condividi:

Pubblicato il 19/08/2020

CESARE PAVESE – IN UN DIARIO SEGRETO GIUDIZI POSITIVI SUL FASCISMO

Il Mattino Salerno data: 19/8/2020 – pag: 14

Pavese, il notes choc: pro-Mussolini

Massimo Novelli
Un block-notes di piccole dimensioni, 30 foglietti non numerati di carta quadrettata scritti quasi tutti a matita. È Il taccuino segreto, ovvero un frammento di diario politicamente assai scorretto e scandaloso per i giudizi favorevoli al fascismo e al nazismo, a Mussolini e alla guerra tedesca, contenuti in quelle pagine, che Cesare Pavese (Santo Stefano Belbo, 1908- Torino, 1950) compilò tra il 1942 e il 1943. Mai compreso tra le sue opere, e fatto conoscere soltanto dal critico letterario Lorenzo Mondo su «La Stampa» dell’8 agosto del 1990, esce ora per la prima volta come libro grazie all’editore piemontese Nino Aragno, a 70 anni dalla morte dello scrittore che si uccise nella notte del 27 agosto 1950 in una piccola camera dell’Hotel Roma di Torino, a pochi metri dalla stazione ferroviaria di Porta Nuova.


LO SCONCERTO
Oltre al testo in immagini del manoscritto, la prima edizione (pagine 118, euro 25), curata dall’italianista Francesca Belviso, è corredata da un’introduzione dello storico della cultura Angelo d’Orsi e da una testimonianza di Mondo. C’è anche un’antologia degli scritti che sui giornali seguirono alla pubblicazione dei quei foglietti sul quotidiano torinese, da Giancarlo Pajetta ad Alessandro Galante Garrone, da Franco Ferrarotti a Natalia Ginzburg, e delle conseguenti polemiche che ne accompagnarono la tardiva divulgazione, visto che quegli appunti erano stati consegnati a Mondo da Maria Sini, la sorella dell’autore di La luna e i falò.

Lo scoop generò sconcerto nel mondo della cultura, soprattutto tra gli intellettuali di sinistra e coloro i quali erano stati più legati a Pavese e lo avevano incasellato, troppo sbrigativamente, come uno scrittore tout court dell’antifascismo e della Resistenza. A riassumere bene lo sbigottimento sarebbe stato il grande italianista Carlo Dionisotti, sulla rivista «Belfagor». «La pubblicazione, a quarant’anni dalla morte», scrisse, «di un taccuino segreto di Pavese (…) ha provocato e provoca discordi commenti. Nessuno si aspettava che gli eventi politici e militari del 1942-1943 avessero proposto a Pavese considerazioni, giudizi e pronostici che suonano oggi scandalosamente favorevoli a Mussolini e a Hitler e a quella parte, incluso ancora e addirittura Franco, e avversi, con un po’ di cattiveria ironica, ai pochi e inermi e perseguitati antifascisti italiani». Fu difficile, per molti, considerare come opera di Pavese, il medesimo che scriveva su «L’Unità» e un romanzo come Il compagno, le pagine del diario in cui minimizzava le atrocità dei nazisti e commentava positivamente il «Manifesto di Verona» della Repubblica di Salò. Tanto che, come ricordava Cesare De Michelis nel 2016, «resiste più di un sospetto sulla sua autenticità, mentre ci si sforza di trovare plausibili giustificazioni a quella serie di annotazioni che inequivocabilmente smentiscono la vulgata antifascista dell’impegno dello scrittore».
GLI AUTOGRAFI
Il taccuino, invece, era proprio di Pavese, come attesta pure la pubblicazione dei foglietti originali del taccuino nel volume di Aragno. Quando Mondo lo ebbe tra le mani, lo fece vedere a Italo Calvino, allora dirigente dell’Einaudi. «Andai da Calvino», spiegò Mondo, «che stava dietro la sua scrivania. Mentre sfogliava il taccuino, la sua faccia mi pareva ancora più pallida e magra. Disse che non ne sapeva niente e stette a guardarmi in silenzio meditabondo. Pensai, a grande velocità, che per il momento era opportuno mantenere il riserbo sul testo. Al di là delle probabili e legittime opposizioni della famiglia, c’era da esporsi alle accuse e al rischio di speculazioni volgari. Non lo meritava la famiglia, non lo meritava Pavese. Tienilo tu – gli dissi – mettilo in cassaforte. Quando varrà la pena di pubblicarlo, ricordati di me».
IL SILENZIO DI CALVINO
Italo Calvino, e la casa editrice di Pavese, l’Einaudi, non ritennero opportuno farlo conoscere. Raccontò sempre Mondo: «Dopo l’impresa dell’epistolario, (…) vidi solo fuggevolmente Calvino che poi si trasferì a Roma. E quelle poche volte, nessuno di noi toccò l’argomento. Ma il lavoro giornalistico sempre più intenso, proseguiva, la sopravvenuta disaffezione per l’argomento, la pigrizia, mi fecero accantonare il progetto e dimenticare le carte. Ne accennai appena, negli anni, a qualche amico. Poi, dopo la morte di Calvino, mettendo ordine dopo un trasloco, le vidi riaffiorare. Allora mi sentii all’improvviso sbloccato».
Oggi, di fronte a quei giudizi sul fascismo e sui nazisti, osserva Angelo d’Orsi, si può dire che il Taccuino «è un atto di resa» di Pavese «alla storia, una sconfitta davanti alla politica che domina suo malgrado, e lo schiaccia». Le pagine segrete, nota infine Francesca Belviso, ci mostrano un Pavese come un «novello Giano Bifronte», e perciò una «delle personalità più complesse e più libere della cultura italiana contemporanea».

Leggi anche