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Pubblicato il 01/11/2018

RASSEGNA STAMPA- IL GENERALE FARINA: LA VITTORIA FU DELL INTERO POPOLO ITALIANO

IL MESSAGGERO DEL 1 NOVEMBRE 2018
«POCHI mesi dopo la conclusione del conflitto, alcune autorità dissero al Maresciallo Diaz: Congratulazioni, lei ha vinto la guerra. Ma lui rispose: Non è così, la guerra l’ha vinta tutto il popolo italiano. Ecco, poche parole ma che racchiudono tutto il senso di quel successo». Il generale Salvatore Farina è il capo di stato maggiore dell’Esercito italiano. Una carriera di azione e gestione, ma anche ricca di esperienze politico-strategiche (è stato comandante del Nato Joint Force Command di Brunssum, primo ufficiale italiano ad assolvere un incarico di comandante operativo interforze Nato 4 stars). Parlare della Grande Guerra con lui è un’esperienza vibrante.
Cento anni dalla vittoria della Prima guerra mondiale, è arrivato il momento di non chiamarla più vittoria mutilata?
«Certo, la vittoria conseguita dall’Italia sancì la chiusura del capitolo risorgimentale con la scomparsa dell’Impero austro-ungarico, eterno antagonista al processo di unificazione. Fu la vittoria in tutti i sensi e non solo di un esercito che seppe guadagnarla con il proprio sacrificio ma di una Nazione intera. Fu la vittoria dell’Italia. Pur nella sua immane drammaticità, è stata un momento fondamentale nel processo di costruzione della storia patria, di coesione tra gli italiani e, inoltre, per la prima volta nell’era moderna, l’Italia è assurta al ruolo di grande Stato europeo».
Fu infatti un conflitto antico, ma allo stesso tempo moderno.
«Iniziò con schemi antichi, uniformi multicolore, armi datate, un esercito di manovra appiedato, senza motorizzazione, con artiglierie someggiate, senza radio, ma chiuse con un parco aeronautico di tutto rispetto, con la creazione degli Arditi (truppe d’assalto speciali e determinanti), carri armati, motosiluranti (i Mas), mezzi di comunicazione efficaci e senza fili, mitragliatrici, bombarde».
Negli anni del conflitto si sviluppò anche la sanità militare.
«Esatto, il conflitto produsse ricerca e, quindi, risultati a volte non del tutto negativi. La Grande Guerra rispecchia a pieno quello che Eric Hobsbawm ha definito Secolo breve, dalla carrozza allo spazio».
Fu l’esaltazione del soldato. Quali fatti le vengono in mente?
«Per esempio gli Alpini che, dal monte Adamello al monte Grappa, lottarono aggrappati alla roccia con le mani e con le unghie. I Bersaglieri che non smentirono mai le gloriose tradizioni e si prodigarono generosamente su tutti i settori, del fronte dal monte Nero al Carso, dagli Altipiani al Grappa, dall’Isonzo al Piave. O ancora: la gloriosa Cavalleria che, durante la contro offensiva italiana iniziata il 24 ottobre, avanzò sul Piave ben 70 chilometri oltre le linee alleate».
La leggenda dei Dimonios della Sassari.
«Sì, nelle Battaglie sull’Isonzo, sugli altipiani fino alla Vittoria e poi il contegno in guerra dei Granatieri di Sardegna, per ben sei volte citato sui bollettini di guerra del Comando Supremo per le azioni nella zona di Redipuglia e poi a Vittorio Veneto. Senza dimenticare il ruolo dei Genieri dell’Esercito. Ricordo l’Artiglieria, il neo-costituito Corpo Automobilistico fondamentale nella Battaglia degli Altipiani o l’opera silente ma decisiva delle prime unità di Telegrafisti dislocati in ogni punto del fronte dalle trincee alle retrovie».
Da Caporetto a Vittorio Veneto, ritiene vi sia anche un insegnamento più profondo dietro a quella fase del conflitto?
«Sono accomunate proprio nel loro insegnamento: l’Italia è un grande Paese e il nostro è un grande popolo, orgoglioso, coraggioso e operoso che sa ritrovarsi anche nei momenti di maggiori difficoltà, riuscendo a vincere quando tutto sembra perso».
Il Milite ignoto, lei come lo definirebbe?
«Ha un valore emotivo e spirituale, non solo per chi veste l’uniforme, ma per tutti noi italiani. È l’Eroe senza nome che tutto ha dato per la Patria. Noi, Esercito e Forze Armate, c’eravamo, ci siamo e ci saremo sempre».
Il sacello del Milite Ignoto ha anche una storia molto originale.
«L’idea di glorificare il Milite Ignoto risale al Generale Douhet, nell’agosto 1920. La scelta tra le undici salme raccolte, una sola delle quali sarebbe stata tumulata a Roma al Vittoriano, fu compiuta il 21 ottobre dello stesso anno da una donna di Trieste, Maria Bergamas, il cui figlio aveva disertato l’esercito austriaco per combattere nelle fila di quello italiano, cadendo in battaglia senza che il suo corpo venisse mai identificato. Maria Bergamas, donna comune, divenne così la madre simbolica che rievocava il dolore di tutte le madri italiane. Dopo un sentito pellegrinaggio che vide tutto il Paese rendere gli onori ai resti del nostro Soldato, la salma del Milite Ignoto raggiunse la capitale il 4 novembre 1921».
Non dovremmo essere tutti più orgogliosi?
«Certo, soprattutto perché il sacrificio dei nostri soldati e di molti civili ha consolidato a tangibile riferimento, per noi e le nuove generazioni, i valori e gli ideali di unità, libertà e giustizia».

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